Spirito Oderda, insegnante, ha lanciato la proposta “Giovani dentro”
Lunedì 15 settembre 2014 – 11.00
Avere un’idea buona è difficile, riconoscerla è impresa non meno meritoria, appassionarsene richiede un vero e proprio atto di coraggio. Nel marasma di “qualunquismo” (per cui “Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera”, per dirla con De Gregori), “benaltrismo” (secondo cui qualunque proposta venga fatta, sono sempre “ben altri” i problemi a cui pensare) e il recente “bastapochismo” (rispetto al quale ogni volta la soluzione è a portata di mano, ma all’atto pratico risulta sempre irrealizzabile), portare avanti un’idea, propria o altrui, sembra da sprovveduti o ingenui o sognatori.
O tutte e tre le cose insieme. A maggior ragione se tale idea pare essere stata sempre lì, a portata di mano di chiunque. Nel caso specifico, però, chi ha avuto l’alzata d’ingegno non è proprio “chiunque”. Perché si tratta del belvederese Spirito Oderda (vedovo, due figli e una nipotina), insegnante di lettere presso la scuola media “Luigi Einaudi” di Dogliani, a contatto con i problemi dei giovani anche perché “tutor” di una Scuola di partecipazione promossa dal Movimento politico per l’unità. Uno che non solo si pone delle domande rispetto al mondo in cui vive, ma prova anche a costruire delle risposte con le azioni. Veri e propri “atti politici”, nel senso più alto del termine, come lo è l’articolare una proposta che permetterebbe di far entrare dei giovani nel mondo del lavoro attraverso un atto di solidarietà di chi da quel mondo è prossimo a congedarsi.
La proposta, oggetto di una lettera inviata ad alcuni settimanali locali (e spiegata meglio nell’allegato) a fine luglio è di stretta attualità perché prende le mosse da un ambito che è, come sempre e più di sempre, al centro del dibattito politico, ovvero il mondo della scuola.
In estrema sintesi, il ragionamento è: “Io, che sono a pochi anni dal ritiro dalla vita lavorativa, sarei ben lieto di lasciare il mio posto a un giovane, percependo sino alla pensione soltanto la differenza tra il mio stipendio, più alto per l’anzianità, e quello base del nuovo assunto”.
L’implicazione immediata è: nuovi posti di lavoro per giovani a costo zero. Ma non è l’unica perché, da qualunque parte la si guardi, questa proposta pare presentare solo vantaggi per tutti i soggetti coinvolti. Vale la pena rilanciarla in quanto espressione massima di buon senso, ma anche per animare un dibattito che faccia emergere la posizione di altri lavoratori a riguardo e per farla arrivare a chi ha il potere (e il dovere) di trasformare le buone idee in buona politica. O, qualora non fosse possibile metterla in atto, spiegare almeno perché no. Un “no” che risulta ancor più difficile immaginare dopo aver approfondito la questione con il diretto interessato: “Da sempre credo nella solidarietà tra le generazioni”, spiega Oderda, “e, senza retorica, sarei felice di sapere che un giovane, spesso dopo impegnativi anni di studio, possa trovare, anche grazie a me, uno sbocco lavorativo, invece di stare in attesa per anni. Noi sessantenni di norma abbiamo da parte quel tanto che ci consente di sopravvivere anche un paio d’anni senza drammatizzare, mentre il presente ci insegna quanto sia angosciante per un giovane, e per chi gli è vicino, stare (anche solo) un paio di anni ad aspettare, non poter costituire una famiglia. Ne trarrebbe vantaggio anche la ripresa dei consumi, perché i giovani hanno mille ragioni in più di noi per investire i guadagni in progetti di vita”.
“Sempre più numerosi lavoratori non lontani dalla pensione mi assicurano che farebbero questa scelta, se potessero”, prosegue nel suo ragionamento il belvederese. “Qualcuno potrebbe esservi indotto anche perché si troverebbe liberato dall’impegno quotidiano che con l’età si fa via via più pesante, altri perché, come accade al sottoscritto, si è pure nonni e i genitori dei nipotini lavorano, altri ancora per contribuire a superare il paradosso (anche questo è il caso mio) di dover andare loro al lavoro avendo in casa un figlio, laurea con il massimo dei voti, inoccupato, la cui unica prospettiva sembra essere quella di dover uscire dall’Italia per trovare un impiego. Ma soprattutto credo che a far decidere in tal senso saranno ragioni nobili (che sono presenti in tanti) di aiuto verso i nostri giovani, come certo farebbero dei buoni genitori verso i propri figli”. Chi non pecca del “bastapochismo” di cui sopra, poi, analizza la questione a 360 gradi, prendendo in considerazione anche i possibili punti critici. “Qualcuno potrebbe fare obiezione”, afferma al riguardo l’insegnante, “adducendo la necessità di versare doppi contributi, all’uscente e al nuovo assunto, nel periodo transitorio precedente la “data Fornero”. In realtà, fino al 2009 vigeva il regime retributivo, che è quello che fa il grosso della pensione. Rinunciare ai contributi per un paio di anni (anni che senza la “riforma Fornero” non sarebbero più stati lavorativi e, quindi, non avrebbero comunque incrementato), inciderebbe in modo assolutamente trascurabile sul trattamento pensionistico”.
Non è trascurabile, invece, il fatto che tale proposta, nata all’interno del mondo della scuola, sembra poter essere estendibile perlomeno a tutto il mondo del pubblico impiego. Sempre su base volontaria, ovviamente.
Non occorre essere predisposti ai facili entusiasmi per capire la portata che l’attuazione di questa proposta potrebbe avere.
Basta un apposito intervento legislativo. O, in caso contrario, una spiegazione davvero convincente. Perché, se come spiega Oderda quando gli si chiede cosa l’abbia spinto a confrontarsi su questa proposta con colleghi, esponenti politici, rappresentanti del mondo sindacale, “ogni idea è anche una responsabilità”, non darle seguito soltanto per miopia, noncuranza, superficialità o indolenza, sarebbe la più intollerabile delle colpe.
(Rivista IDEA n°33 – 11 settembre 2014)