Elisabetta Sgarbi ovvero l’arte come ragion di vita

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A Cascina Langa, in occasione di “In donne veritas”, l’incontro con la responsabile della Bompiani che ha parlato della Storia

Giovedì 27 novembre 2014 – 10.00

Parto da Alba diretta alla Cascina Langa: ho un appuntamento spe­­­ciale con Elisa­bet­ta Sgarbi. Mentre l’auto si arrampica per le colline, non posso fare a meno di pensare alla fatalità, al destino, a un cerchio che si chiude. Dopo avere intervistato im­portanti personalità a Torino, a Ro­­ma, ad Alba e ad Acqui Ter­me, incontrerò colei che desidero co­noscere da anni e che verrà proprio nei “miei” posti: Cascina Lan­­­ga è dirimpetto alla collina del mio paese e di casa mia.

E’, nei racconti dei miei vecchi, un luo­go sospeso tra la realtà e il mito: a livello popolare, viene sentita dalla gente co­mune la stessa adorazione che Beppe Fenoglio ebbe per questa tenuta immortalata nel­le sue o­pere letterarie.
Elisabetta Sgarbi è un personaggio che ha esercitato su di me un’a­­naloga fascinazione.
Pur avendo conseguito una laurea scientifica secondo i desideri della famiglia, titolare della storica farmacia di Ro Ferrarese, ha perseguito con tenacia il sogno di lavorare nell’editoria, compiendo una sfolgorante carriera che l’ha condotta al vertice della Bom­­piani (la casa editrice di Um­berto Eco, tanto per citare un au­tore). È regista con all’attivo una sessantina di film, è scrittrice e studiosa di storia dell’arte, ha istituito la Fondazione che porta il suo nome per la promozione della cultura in ogni forma e da quindici anni dirige “La Mi­la­­ne­siana”, rassegna da lei ideata di let­teratura, musica, scienza, arte, filosofia e teatro che si tiene a Milano, ma che dal 2012 ha an­noverato eventi anche a To­rino con ospiti di primissimo piano.
C’è anche un motivo segreto, profondissimo, che mi fa emozionare qui a Cascina di  Langa mentre aspetto l’arrivo di Elisabetta Sgar­bi, facendo la conoscenza di Manuela Viglione, di Alessandra Morra, organizzatrice di “In don­ne veritas” di cui questo appuntamento rappresenta l’epilogo, e di Roberta Ca­stoldi, l’ideatrice, so­­rella di Mor­gan e lei stessa va­lente musicista e poetessa.
Tra queste antiche mura così ben restaurate mi risuonano le parole degli “Appunti partigiani” di Fe­noglio, quelli scritti di getto nel 1946 e ritrovati da Lorenzo Mon­do alla fine degli anni Set­tan­ta: un libro breve, diretto, am­bientato in gran parte proprio qui, schietto al punto da omettere in parte gli pseudonimi letterari per riportare veri nomi di battaglia. A vent’anni, in quegli ap­punti, ho ritrovato un partigiano, guardia del corpo del comandante Nord, scoprendo una sorprendente conferma di ciò che mi era stato riferito su quella ragazza morta tragicamente nel 1944, a 15 anni, che era mia zia.
Una storia lontana che, in quanto unica donna del ceppo familiare dopo di lei, mi ha sempre seguito e che prima o poi scriverò.
“In donne veritas” si intitola la ras­segna, e importanti verità storiche salvate dall’oblio vi ha portato Elisabetta Sgarbi, con la proie­zione del suo film “Quando i te­deschi non sapevano nuotare”. È un’opera composita, fatta di ricostruzioni sceniche, di interviste a studiosi  e di testimonianze di co­lo­ro che vissero la Resistenza, tra i quali Giuseppe Sgarbi, padre di Elisabetta e di Vittorio, Ermanno Ol­­mi e Bernardo Ber­to­luc­ci. Come han­no spiegato Elisa­betta Sgar­bi ed Eu­genio Lio, collaboratore alla realizzazione del film nonché editor di narrativa e saggistica alla Bom­­piani, la Resi­stenza nel territorio del ferrarese e del delta del Po è sta­ta a lungo misconosciuta da­gli storici. Ripor­ta­re alla luce un passato rinnegato è stata ope­ra tanto meritoria quan­to difficile, non esistendo al riguardo alcuna bibliografia.
Ma ha ottenuto giustizia non solo storica, ma an­che artistica, grazie ai film “Quando i tedeschi non sapevano nuotare”, in cui viene ri­velato come migliaia di soldati nazisti perirono nel tentativo di attraversare il Po, e “Rac­conti d’a­more”, in cui la guerra è lo sfondo e il tragico attore nell’intrecciarsi di storie amorose tormentate.
Ecco come ce ne ha parlato Eli­sa­betta Sgarbi.
Che emozioni ha provato realizzando “Quando i tedeschi non sapevano nuotare” e “Racconti d’amore”?
«Un’emozione duplice: quella derivante dall’immersione in momenti storici fatali rivissuti però con un’attenzione ai sentimenti individuali. Un’esperienza profonda, un rivedere, rivivere frammenti di storia da un punto di vista circoscritto».
Lei ha affermato di essersi accostata all’attività cinematografica filmando le opere d’arte del Sa­cro Monte di Varallo…
«L’arte sacra mi affascina fin da quando ero ragazza. A interessarmi sono sempre stati il senso del sa­cro e la convinzione che i Sacri Monti, ad esempio, custodissero una vitalità da ricercare, una luce da rivelare, anche indipendentemente dal discorso della fede. È una ricapitolazione della storia umana nell’ottica della tradizione cristiana, lì si vede questo con grande forza: un’espressionismo “ante litteram”».
Che rapporto hanno le arti, tra lo­ro? Ce n’è una che predilige?
«L’arte è una sola, i modi sono tan­ti. È, anzi, un dono divino, lo si capisce proprio quando si pas­sa da una all’altra e si nota che tutte seguono uno stesso percorso, che è quello di un universale u­mano che cerca di apparire, e­mergere».
“In donne veritas”: secondo lei qual è la forza delle donne nella vita e nell’arte?
«Le donne hanno una potenzialità che rinvia alla forza della natura. Hanno la terra, in senso lato, nel sangue. Nel bene e nel male, questo è ciò che hanno».
Quali emozione prova quando decide di pubblicare il libro di un autore sul quale altri editori non scommetterebbero?
«La soddisfazione di aver spinto lo sguardo più lontano degli altri, ma salvando il senso della misura: non è una gara, e nemmeno un gioco».
Quanto è importante, secondo lei, riscoprire aspetti della nostra storia che sono stati dimenticati o non sono mai stati noti?
«Riscoprire il rimosso o il dimenticato, che possono essere la me­desima cosa, è una prerogativa della memoria umana. La Storia è in fondo una grande terapia collettiva».
Questo è stato per me l’incontro con Elisabetta Sgarbi: pura poesia declinata in ogni forma d’arte.
Senza dimenticare la Storia, in specie al femminile. In “Quando i tedeschi non sapevano nuotare” è rappresentata l’azione di centinaia di donne che occuparono il municipio di Bondeno bruciando i documenti dell’Anagrafe e della leva da cui si potevano ricavare i dati dei giovani richiamati dal bando Graziani.
A Cascina Langa ho trovato una Storia che non conoscevo, di un altro territorio; ho ritrovato un frammento segreto della storia (femminile) della mia famiglia; ho finalmente conosciuto Eli­sa­betta Sgarbi.
Tre giorni prima di giungere a Ca­scina Langa le è stato assegnato, a Roma, il premio “Vittorio De Sica” per l’editoria, con la motivazione: «Per lo splendido impulso che, come direttore editoriale, ha saputo dare da anni alle edizioni Bompiani, con i suoi suggerimenti, le scelte finissime degli autori da pubblicare, le abili, intelligenti collane».