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Gli studenti del Liceo Classico Govone incontrano la staffetta partigiana Margherita Mo

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La staffetta partigiana Margherita Mo ha incontrato gli studenti della classe 2° liceo internazionale sez. B e la docente di lettere prof.ssa Elena Rolando, che ne hanno raccolto la testimonianza in vista della partecipazione al concorso “Nuto Revelli”. Meghi – come viene soprannominata – donna ancora vitale e caratterizzata da una profonda forza d’animo nonostante l’età ormai avanzata, ci ha raccontato la sua storia.

 

 

La scelta di diventare staffetta partigiana fu dettata dal profondo dolore provato davanti all’uccisione di alcune persone innocenti da parte dei Fascisti. Aveva vent’anni quando lasciò la sua casa: era molto giovane, inizialmente inesperta del mondo, ma questo non la frenò neanche davanti ai timori di sua madre, vedova e senza il figlio, in quegli anni deportato in Germania. Meghi partì così con la sua bicicletta, grazie alla quale attraversò e raggiunse moltissimi territori piemontesi e liguri, come Vesime, Cairo Montenotte, Genova e Savona. Il suo compito era quello di aiutare i partigiani principalmente recando messaggi, ma anche portandoli in salvo se feriti o nascondendoli dallo sguardo nemico. Molte furono le difficoltà e i momenti di prova: venne fatta prigioniera dai Fascisti, che le tagliarono i capelli e furono addirittura sul punto di fucilarla.
Era già al muro quando riuscì a impietosire i soldati fingendosi una ragazza povera, poco intelligente e orfana. Le abbiamo domandato se avesse avuto paura di morire, ma ha orgogliosamente affermato che quando si è così giovani non si teme la morte e solo adesso, da anziana, che si rende conto dei momenti in cui ha rischiato davvero la vita.

 

La sig.ra Margherita ci ha anche raccontato di non aver mai ucciso nessuno: non l’avrebbe mai fatto, non solo perché non girava armata, ma soprattutto perché non ne sarebbe stata capace. Inoltre ha sottolineato che, anche nei confronti dei nemici, esiste sempre e comunque, in ogni situazione, un limite che non va superato. La guerra è guerra, ma nel momento in cui diventa totalizzante e brutale, è fondamentale chiamare in causa la propria coscienza: il rispetto per il nemico in quanto uomo può coesistere con il desiderio di ribellarsi contro i soprusi e di cambiare il corso degli avvenimenti. Meghi, anni dopo la guerra, assisté al processo del comandante che aveva ordinato la sua fucilazione, ma a cui era riuscita a sfuggire, e fu per lei una soddisfazione poterglisi avvicinare libera e a testa alta.
Meghi ha infine fatto un appello importante a noi giovani: dobbiamo vegliare sul rispetto della giustizia, della libertà e della legalità, valori che troppo spesso diamo per scontati. Il suo esempio di giovane donna, che ha trovato la forza di lasciare tutto per aiutare i partigiani combattenti per la liberazione del popolo italiano, invita oggi noi ragazzi a impegnarci con coraggio per costruire un futuro di pace, onestà e tolleranza nel nostro paese.

 

Evelina Abrardi

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