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IL FICCANASO – Bibihal, 105 anni ed uno sguardo al futuro

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Bibihal ha rughe profonde e occhi stanchi, è curva sotto la coperta che l’avvolge e ha una grande sciarpa verde attorno al viso. è un simbolo nuovo d’immigrazione, perché prima d’attraversare montagne e mari e deserti ha attraversato un secolo di vita.

Faticano a crederci, i poliziotti di pattuglia al “check-point” fra Croazia e Serbia, guardano cento volte il do­cumento stropicciato e cento volte ascoltano il suo racconto in lingua farsi: Bibihal Uzbeki ha 105 anni e viene da Konduz, in Afghanistan, ha lasciato tutto assieme alla famiglia per cercare una vita migliore.

 

La terra promessa, per Bibihal, è la Svezia, ma forse è solo un Paese senza guerre, dove i figli dei figli possano crescere sereni. «Le gambe mi fanno male, ma sto bene», è il sussurro tenero, pronunciato con un filo di tremore, un cenno di sorriso affaticato.« Qualche volta sono caduta, ho anche delle ferite alla testa, ma è tutto a posto. Quando non ce la facevo, m’ha preso sulle spalle mio nipote». Lui annuisce, senza tradire orgoglio: ha fatto una cosa normale e giusta. è un ragazzone di 19 anni, figlio del figlio di Bibihal che ne ha 67, immobile un passo dietro la nonna, in un nugolo di parenti stremati e tristi, aggrappati al so­gno di un’occasione nuova, d’un silenzio mai più interrotto dalle bombe, d’una vita che non sia bagnata dal sangue e bruciata dagli incendi di confitti senza fine. Terre martoriate, quelle dietro le spalle, come ormai dietro le spalle è la Turchia, già ricordo in questo limbo tra dolore e speranza: per orala terra promessa non è la Svezia, ma il campo profughi allestito a Opatovac, dove la guerra è lontana, ma disperazione e violenza resistono.

 

Bibihal ci arriva su un’ambulanza della Croce rossa, chiamata dai poliziotti di frontiera, appena poche ore dopo una rissa tra migranti che si contendevano il po­sto su un bus diretto al confine con l’Ungheria. Suscita curiosità, poi commozione, e la sua storia diventa esempio di volontà e sacrificio, della durezza quotidiana che spinge a lasciare tutto, a tagliare radici per cercare un altro futuro. E se il proprio è breve, conta quello del nipote, il ragazzone che l’ha portata sulle spalle, e degli altri giovani attorno e dei bambini che sciamano, a volte ignari del destino avuto in sorte. Bibihal, nonna dolcissima, li guarda giocare ed è felice per loro, per quel mondo migliore che è possibile e che lei non ha conosciuto. Chissà, ma­gari sarebbe ri­masta a casa. Forse s’è mossa, con i suoi acciacchi e i suoi ricordi, perché altrimenti, per non lasciarla, nemmeno suoi cari non sarebbero partiti. Certo l’immagine di lei lungo il cammino della speranza, sulle spalle del nipote che tante volte aveva preso in braccio da bambino, è più tenera del sorriso che re­gala insieme alla meraviglia dell’età: da diffondere nella nostra società fortunata, troppo presa, spesso, per dedicare un minuto agli anziani.

 

AB

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