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Legge sul consumo del suolo, Confapi Cuneo: “Tutelare le esigenze di espansione delle realtà aziendali”

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Tutela del suolo nel senso ambientale e anche del patrimonio produttivo, quindi occupazionale, su di esso già insediato: questa è la sfida di un binomio, tra economia ed ecologia, tanto inflazionato quanto difficile da tradurre in senso giuridico pratico.

Ci ha provato, con tanto di proposta di emendamento a firma del Presidente Pierantonio Invernizzi, la Confapi della Provincia Granda, cercando di definire una soluzione circostanziata che esca dall’impasse tra un sì e un no netti al discusso disegno di legge governativo sul consumo del suolo. Impasse che, secondo lo stesso Invernizzi e il suo Vice Giuseppe Rossetto, rischia di determinare come unico risultato il favorevole passaggio parlamentare del provvedimento legislativo, sic et simpliciter nel testo di partenza contestato dalle categorie imprenditoriali, senza cioè quelle modifiche o integrazioni che si rendono necessarie per non penalizzare ulteriormente l’economia reale, per rilanciarla laddove le strutture imprenditoriali presenti comprovino obiettive esigenze di sviluppo espansivo indifferibili e strutturali. Ciò che è l’esigenza da salvaguardare effettivamente e, in definitiva, al centro delle preoccupazioni dei soggetti di rappresentanza associata del settore industriale e manifatturiero.

 

“Abbiamo messo a punto una bozza di integrazione normativa, rispetto al disegno di legge attuale, improntata alla ragionevolezza – spiegano Invernizzi e Rossetto – Oltre a comunicarla ai Parlamentari e agli esponenti governativi di riferimento della provincia Granda, affinché se ne facciano interpreti e sostenitori in sede di approvazione, abbiamo ritenuto opportuno mettere questo nostro contributo a disposizione dei vertici associativi regionali e nazionali di Confapi, per eventuali azioni analoghe ai rispettivi livelli di competenza. Intendiamo semplicemente, ma chiaramente tutelare le esigenze di sviluppo di quelle imprese che, per provate necessità di carattere funzionale alla crescita strutturale dell’attività svolta, debbano attuare ampliamenti non rinviabili e non rinunciabili dei propri siti e stabilimenti, su suoli non ancora impermeabilizzati, cioè non edificati, interni o collaterali alle unità aziendali esistenti e fin d’ora indicati dalla pianificazione urbanistica vigente come aree produttive. Questa disposizione concorrerebbe, a nostro avviso, a rasserenare il dibattito nel senso di focalizzarlo su una questione precisa, consentire alle realtà imprenditoriali in grado, e in previsione di espandersi, di attuare tale intendimento rendendo possibile l’ampliamento e l’integrazione dei loro attuali stabilimenti, attraverso una specifica clausola transitoria”.

 

Aggiungono in conclusione i due Dirigenti: “Chi conosce da vicino le dinamiche delle aziende, può comprendere che in molti casi la salvezza di un’attività produttiva, nel proprio insieme anche occupazionale, dipende da un tempestivo adeguamento di spazi e strutture a condizioni di mercato che permettano di agganciare la tanto agognata ripresa economica e di renderla forte e stabile, ma ciò avviene solo se i siti esistenti possono dare seguito a strategie peraltro già programmate e attivabili a livello urbanistico vigente. Le piccole e medie imprese in particolare sono le prime a sottolineare l’importanza dello sviluppo sostenibile e del corretto rapporto fra suolo e insediamenti, favorendo anche le ipotesi delle riconversioni e delle ricollocazioni, ma per questo occorrono delle clausole che superino il dilemma secco tra sì e no, mosso anche dalle migliori intenzioni, le stesse nostre, ma non di rado foriero di risultati al di sotto delle attese delle stesse Pmi”.

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