A tre giorni dall’arresto di Rocco Schirripa, uno degli uomini che il 26 giugno 1983 uccisero con 14 colpi di pistola il cuneese Bruno Caccia, allora Procuratore della Repubblica a Torino, che stava indagando sul riciclaggio di denaro “sporco” da parte delle cosche calabresi al Nord, Ideawebtv.it ha contattato in esclusiva Davide Mattiello, membro dell’attuale Commissione di Giustizia e della Commissione Parlamentare Antimafia nella quale coordina il V Comitato (testimoni di giustizia, collaboratori, vittime di mafia) per capire che cosa può rappresentare un’azione di tale entità.
Innanzitutto, che cosa rappresenta per l’intero paese l’arresto di Rocco Schirripa a 32 anni dall’assassinio di Bruno Caccia?
“L’arresto di Schirripa è un segnale che ha tante valenze: questi delitti non si prescrivono, non soltanto sul piano giuridico, ma anche sul piano della memoria, della volontà. Questo è un Paese che quando vuole sapere, ci riesce. Quindi quando non ci riesce è perché non vuole abbastanza. Noi dobbiamo volere di più, poi le capacità professionali e le novità tecnologiche fanno il resto.”
Passiamo all’aspetto “pratico”: quanto conta aver dato concretamente un volto ad uno degli attentatori?
“Significa che la partita non è chiusa, che è anzi riaperta. Schirripa rischia una condanna all’ergastolo e ha poco più di sessant’anni: farebbe bene a considerare l’ipotesi di collaborare con la giustizia.”
Rocco Schirripa, ovvero un uomo da quasi trent’anni a stretto contatto con gruppi criminali e mafiosi di ogni genere. Al di là dei vari fermi, era impossibile poter bloccare prima elementi del genere?
“Schirripa è un pregiudicato: la giustizia aveva già fatto il suo corso. Ma le regole giudiziarie sono opportunamente molto esigenti: l’accertamento della responsabilità penale pretende prove concrete che leghino il soggetto ad un fatto preciso, in questo caso l’omicidio di Bruno Caccia. Grazie al prezioso e intelligente lavoro della Mobile di Torino, guidata dal dott. Martino, e dall’altrettanto sagace coordinamento fatto dalla Procura di Milano, ora questo è stato possibile. È stata determinante l’uscita dal carcere di Domenico Belfiore per gravi motivi di salute, dopo quasi 30 di detenzione.”
L’ennesimo arresto di un uomo della criminalità organizzata nel nord aiuta a confutare definitivamente la tesi della non esportabilità del fenomeno mafioso? (Sciascia parlava di una “linea della palma che sale verso nord” in riferimento alla mafia…)
“Direi che soltanto un ignorante o un colluso potrebbero oggi negare ancora questa drammatica realtà. Le organizzazioni criminali di stampo mafioso sono un reticolo di interessi e violenza esteso in tutta Italia e oltre. Come le più recenti indagini hanno ampiamente documentato.”
Due ultime battute. La prima sull’ennesimo colpo inflitto al boss latitante Messina Denaro e alla sua cerchia, con il sequestro di beni per 10 milioni a suoi presunti prestanome: sono grandi passi avanti? La seconda: che uomo era il cuneese Bruno Caccia e perché il suo esempio può aiutarci oggi?
“Il cerchio attorno a Messina Denaro si sta stringendo. Credo che ormai la sua latitanza sia diventata un problema anche per la rete di imprenditori a lui collegati. Spero che lo prendano vivo, al più presto. Bruno Caccia rappresenta la normalità dello Stato democratico, che è la bellezza del diritto, della libertà, dell’uguaglianza di fronte alla legge. Mi ha sempre ricordato Ambrosoli. Quando lo Stato cammina con le gambe di persone così, allora è uno Stato rassicurante, perché onesto, capace, dedito. Purtroppo queste persone sono spesso le più pericolose agli occhi dei malfattori.”
Carlo Cerutti