Sono 1131 su 1206 i comuni piemontesi con aree a rischio frana o alluvione, pari al 93% del totale, con punte del 99,2% nelle province di Cuneo e Asti, più di 87 mila residenti in aree a pericolosità idraulica elevata e più di 220 mila in aree a pericolosità media.
Questi i numeri che emergono da Ecosistema Rischio 2016, il dossier annuale di Legambiente che mette in luce quanto sia pesante l’urbanizzazione delle aree più fragili ed esposte a rischio. Il dossier ha l’importante obiettivo di scattare una fotografia sempre più aggiornata e dettagliata delle fragilità idrogeologiche del territorio italiano e di valutare le attività messe in opera dalle amministrazioni locali per la prevenzione e la mitigazione di tale rischio. Delle 301 amministrazioni comunali del Piemonte che hanno risposto all’indagine di Legambiente, soltanto il 22% ha dichiarato di svolgere attività di informazione sul rischio idrogeologico e appena il 35% di aver svolto esercitazioni per affrontare le emergenze.
“I primi responsabili della sicurezza del nostro territorio sono i Sindaci che purtroppo, come testimoniano i dati di Ecosistema Rischio, nella maggior parte dei casi sono inadempienti sia in termini di azioni per la prevenzione del rischio sia nella gestione delle emergenze –dichiara Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. I Comuni hanno un ruolo determinante nelle scelte sulla pianificazione urbanistica, negli interventi di delocalizzazione di abitazioni e di altri fabbricati dalle aree a rischio, nell’adeguamento alle norme di salvaguardia dettate dalla pianificazione di bacino e la corretta manutenzione del territorio. Sono, quindi, soggetti strategici per una gestione del territorio che miri ad una reale mitigazione del rischio idrogeologico. Eppure ancora troppi Sindaci nella nostra regione sembrano non esserne consapevoli, nonostante siano chiamati ad aggiornare i propri piani urbanistici anche alla luce delle nuove mappe del rischio e dell’approvazione del Piano di gestione del Rischio Alluvioni da parte della Regione Piemonte e dell’Autorità di Bacino del Po. Ci auguriamo che nei prossimi mesi venga seguito l’esempio di quelle poche amministrazioni che con coraggio stanno rivedendo i propri piani urbanistici, riducendo le aree edificabili, e dando così in modo tangibile un contributo alla salvaguardia del suolo e alla sicurezza collettiva”.
In Piemonte ben 245 amministrazioni comunali intervistate, pari all’81% del campione, hanno dichiarato la presenza di abitazioni in aree a rischio; 68 comuni, pari al 23%, dichiarano addirittura la presenza di interi quartieri in aree a rischio e il 49% (148 comuni) registrano sul proprio territorio la presenza di attività produttive in aree a rischio idrogeologico. Numeri che testimoniano chiaramente come, negli ultimi decenni, l’antropizzazione delle aree a rischio sia stata pesante. Osservando infatti le aree vicino ai fiumi, risulta evidente l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale dei corsi d’acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche. L’urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può “allargarsi” liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità. Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull’impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire. In molti casi, infatti, la realizzazione di interventi puntuali di messa in sicurezza ha reso certamente più sicure le zone in prossimità dei corsi d’acqua che sono divenute quindi aree su cui era possibile edificare nuove strutture e insediamenti, aumentando però il suolo impermeabilizzato, alterando la dinamica del corso d’acqua e di fatto contribuendo ad accrescere il rischio.
Nonostante l’urbanizzazione delle aree più fragili ed esposte a rischio sia molto pesante non si nota purtroppo una seria inversione di tendenza nella gestione del territorio. Complessivamente soltanto il 5% (in totale 14 amministrazioni) dei comuni piemontesi intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nell’1% dei casi (2 comuni tra i 301 che hanno partecipato all’indagine) si è provveduto a delocalizzare insediamenti o fabbricati industriali. Il 75% dei comuni intervistati ha dichiarato invece di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica, un impegno importante assunto dalle amministrazioni comunali e dagli altri soggetti competenti sul territorio ma che da solo, senza una seria inversione di tendenza nella gestione del territorio, non può produrre effetti durevoli nella mitigazione del rischio. Da rilevare anche che in 9 comuni fra quelli intervistati sono stati realizzati interventi di tombamento e copertura del corsi d’acqua, con la conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti.
Per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, la legge 100 del 2012 ha stabilito per le amministrazioni comunali l’obbligo di adottare e aggiornare un piano d’emergenza entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa. Ad oggi Legambiente rileva grazie alla collaborazione del Settore di Protezione Civile della Regione Piemonte, che ha messo a disposizione i dati presenti nel proprio archivio, che sono ancora 102 i comuni del Piemonte che non si sono mai dotati di un piano di emergenza e ben 310 quelli che hanno piani non adeguati perché precedenti al 2004, anno in cui il Settore di Protezione Civile ha redatto un regolamento e relative linee guida per la programmazione e pianificazione dei piani di emergenza.
“Come Legambiente riteniamo sia fondamentale lavorare sia in termini di prevenzione del rischio sia sulla gestione dell’emergenza mentre, ad oggi, sono ancora troppe le amministrazioni comunali in ritardo nelle attività di informazione rivolte alla popolazione –dichiara Francesca Galante, coordinatrice del gruppo di protezione civile di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta-. Durante le emergenze, se i cittadini sono informati, se sanno cosa fare e dove andare, non si espongono a rischi ulteriori, e la gestione delle criticità è facilitata. Per questo abbiamo deciso di fare la nostra parte ed essere di diretto supporto all’organizzazione e alla rete della Protezione Civile regionale in caso di calamità con un nostro gruppo di protezione civile che lavorerà alla costruzione di conoscenza degli ambienti e delle dinamiche fluviali, anche attraverso attività didattiche nelle scuole e giornate di volontariato per la cura di fiumi e torrenti. Siamo infatti convinti sia necessario uscire dalla cultura dell’emergenza, promuovendo una nuova cultura legata alla prevenzione del rischio idrogeologico”.