La sua esperienza olimpica ai Giochi di Rio 2016 si è chiusa con l’amarezza per la mancata vittoria finale del compagno Vincenzo Nibali, ma le emozioni vissute in terra brasiliana resteranno indelebili nella memoria di Diego Rosa. Il ciclista di Corneliano d’Alba ci ha raccontato, a due settimane di distanza dalla prova su strada delle due ruote, che cosa è stata per lui la trentunesima Olimpiade dell’era moderna.
Diego, partiamo dagli aspetti tecnici e sportivi. Qualche rammarico per l’esito della gara?
“L’Olimpiade, soprattutto per i ciclisti professionisti, è un avvenimento un po’ particolare: va al di fuori del nostro lavoro canonico, si corre in cinque e, accanto a queste variazioni tecniche, porta con sé un ampio ventaglio di emozioni da controllare. Noi italiani sapevamo di essere competitivi, ci siamo preparati e comportati al meglio, poi, però, una caduta, che fa parte del gioco, ci ha impedito di ottenere un risultato meritato.
Del resto, sembravate esservi comportati al meglio…
“Sì, tutto sembrava procedere secondo i piani. Sin dalle prime battute avevamo preso in mano la gestione tattica della corsa, imponendo di fatto agli avversari, con la Spagna, di muoversi in relazione alle nostre scelte. Vincenzo ha dimostrato di essere all’altezza, con alcuni allunghi si era di fatto assicurato una medaglia ed avrebbe certamente lottato per l’oro, poi, a giochi quasi fatti, è arrivata la caduta sfortunata. Il rammarico resta tanto, soprattutto perché siamo tornati a casa con un pugno di mosche, anche se pensiamo di esserci comportati al meglio”.
Dal punto di vista personale, invece, come giudichi la prova di Diego Rosa?
“Sinceramente, pensavo e speravo di essere un po’ più utile alla causa azzurra, magari restando al fianco di Nibali ed Aru nelle battute finali. Sin dal mattino, però, agganciandomi gli scarpini, mi sono accorto di non essere completamente pronto, nonostante fossi in grande forma negli ultimi tempi. Purtroppo, questo è il ciclismo: come dimostrato anche nell’ultimo Tour de France, lo stato di forma dei corridori cambia quasi inaspettatamente mutando le carte in tavola”.
Il percorso costruito dall’organizzazione brasiliana era davvero così duro, tanto da essere stato definito da alcuni come il più pesante nella storia delle Olimpiadi moderne?
“Noi azzurri ci saremmo aspettati qualcosa di più, in realtà. Ci eravamo preparati per una corsa impegnativa ma la speranza era quella che lo fosse così tanto da permettere molti “strappi” in corso d’opera”.
Nemmeno dodici mesi fa eri null’altro che una bella speranza per il ciclismo italiano. Poi, è arrivata a settembre la vittoria della Milano-Torino a cui ha fatto seguito una stagione da assoluto protagonista, culminata con la chiamata per Rio. Ti saresti aspettato un anno del genere?
“Diciamo che, fatta un’analisi tecnica, la speranza di vivere un percorso che culminasse con le Olimpiadi c’era. La vittoria a Superga è stata certamente cruciale: ero arrivo all’Astana per prepararmi e crescere ma quel successo mi ha dato consapevolezza nei mezzi e grande entusiasmo. Nel corso dell’anno, poi, credo di aver dimostrato di sapermela giocare in percorsi simili a quello olimpico, come la Liegi-Bastogne-Liegi o il Giro di Lombardia. La chiamata del Ct Cassani, che ho già ringraziato a più riprese, è stata la ciliegina sulla torta”.
Insomma, un carico di emozioni intense per te e per il tuo appassionatissimo Fans Club di Corneliano…
“Visto il percorso, mi ero segnato la data della gara olimpica sul calendario con un puntino rosso. Era un obiettivo e centrarlo mi ha riempito di gioia, perché mi ha permesso di togliermi una soddisfazione che va provata una volta nella vita. A questo, si aggiunge la grande fortuna di avere un fans club che si muove per seguirmi anche a distanza, e che, quando lo fa, fa una festa incredibile: sono aspetti extrasportivi che caricano di significati un’esperienza indimenticabile”.
Carlo Cerutti