Un anno diverso, quello che è appena in iniziato: la crisi economica, forse più che le guerre ed il terrorismo, è intervenuta pesantemente nel cambiare il modo di vita di tantissime persone.
Così abitudini che si tramandavano da anni sono venute meno sotto il peso del cambiamento imposto dalla situazione contingente: in tutti gli Stati, nessuno escluso.
Il turismo non è rimasto fuori da questa modifica che è epocale e che, per portata, può essere paragonata alle grandi rivoluzioni che hanno modificato la vita dell’umanità.
E’ un passaggio, a volte risultato anche indolore, e questa è l’assoluta novità, da scelte edonistiche e personalistiche ad una vita maggiormente ragionata e in grado di apprezzare elementi che prima venivano riposti in qualche angolino della nostra esistenza.
Chi pratica il turismo plein air, con ogni probabilità, coglie meno degli altri questa trasformazione, perché era già insita nei propri cromosomi.
Da sempre la ricerca del nuovo, del diverso, dell’esperienza genuina contraddistinguono la vita all’aria aperta: il turismo di movimento, in questo, ha molto da insegnare agli altri modi di intendere ed interpretare il tempo libero.
Viaggiare per conoscere e non per giudicare, accettare l’altro per quello che è e non per quello che noi vorremmo che fosse, cogliere il bello in situazioni diverse anni luce da quelle nelle quali noi siamo abituati a muoverci: in questo il “nostro” turismo si differenzia.
Questo è il grande valore che questo 2017 riceve in dote assieme ai tanti, troppi problemi che il 2016 non solo non è riuscito a risolvere, ma anzi è riuscito ad acuire ancor di più.
Non so se il 2017 sarà l’anno della ripresa, della pace ritrovata, di un nuovo e definitivo “senso” consegnato ad un’umanità smarrita: non inizia sotto i migliori auspici, ma sperare non costa nulla.
Soprattutto non costa nulla avvicinarsi ai mutamenti con la consapevolezza che è un’epoca che sta cambiando, che non siamo di fronte al “tutto passa, tutto se ne va” della celebre canzone cantata da José Feliciano a Sanremo nel lontano 1971.
Al massimo, a non voler accettare quanto sta avvedendo, a voler credere che il mondo ed i valori del plein air non stiano diventando diffusi, si rischia di fare la fine del celebre “asin bigio” della poesia di Carducci che “rosicchiando un cardo rosso e turchino, non si scomodò:
tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo e a brucar serio e lento seguitò”.
Ma si trattava di un “asin bigio”…
Beppe Tassone