“La sentenza del Giudice del lavoro di Cuneo, che condanna il Mibact per comportamento antisindacale, riporta al centro dell’attenzione il tema del Codice di Comportamento del dipendente pubblico e del suo rapporto con uno dei due punti più controversi, ovvero l’esercizio delle libertà sindacali e le eventuali incompatibilità da questo derivanti rispetto alle attività di gestione del personale”.
È quanto si legge in una nota della Fp Cgil Nazionale.
Questo tema, spiega la Funzione Pubblica Cgil, “unitamente ai limiti imposti all’esercizio delle libertà di espressione in relazione al rapporto con i media e più in generale all’esercizio del diritto di critica e di opinione sugli atti gestionali e le attività del Ministero, rappresenta una modalità tipica con cui si interviene non solo al Mibact per regolamentare i comportamenti dei propri dipendenti. Tramite una interpretazione, per così dire, estensiva della regolamentazione prevista dalla legislazione primaria, al punto da trasformare uno strumento finalizzato a definire corretti parametri di etica comportamentale in una forma di compressione di diritti fondamentali che i dipendenti pubblici esercitano in quanto lavoratori e cittadini”.
Da questo punto di vista, precisa il sindacato, “la sentenza di Cuneo è particolarmente importante perché è il primo pronunciamento di un giudice che interviene direttamente su un Codice di Comportamento e ne evidenzia il carattere fortemente discriminatorio in materia di esercizio delle libertà sindacali. Intervenendo su un caso concreto: quello di una lavoratrice Assistente alla Vigilanza con funzioni di caposervizio, ovvero mansioni di coordinamento nell’organizzazione delle turnazioni degli addetti alla vigilanza. Mansioni da cui la lavoratrice viene sollevata a causa della sua funzione di rappresentante sindacale territoriale della Fp Cgil”.
La Funzione Pubblica Cgil piemontese “ha deciso allora di ricorrere al Giudice del Lavoro ritenendo questa disposizione antisindacale in quanto la legge che disciplina questo tipo di incompatibilità la limita esclusivamente ai compiti di direzione diretta di strutture deputate alle gestione del personale. La rilevanza del tema per l’esercizio delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro è profonda: se avesse prevalso una valutazione di legittimità di quell’articolo del Codice intere categorie di lavoratori, ad esempio gli impiegati amministrativi, i gestori dei dati, chiunque avesse incarichi di coordinamento di personale sarebbe stato escluso dal diritto a poter essere eletto nelle Rappresentanze sindacali unitarie, in sostanza dal processo democratico primario per i lavoratori”.
Il Giudice di Cuneo, aggiunge la Fp Cgil, “con una sentenza mirabile da punto di vista della visione giuridica, ha invece accolto in toto le tesi del Sindacato, sostenendo la piena illegittimità di questa disposizione in quanto fuori dai perimetri previsti dalla norma e pertanto fortemente lesiva del diritto di rappresentanza sindacale. E questa è soprattutto una vittoria dei nostri delegati di luogo di lavoro che hanno subito sulla propria pelle una grave discriminazione e non si sono piegati”.
Ma, sottolinea ancora la nota del sindacato, “c’è un Codice di Comportamento che ancora va cambiato e va ripristinata la libertà di opinione dei lavoratori, l’altro fattore di compressione della democrazia nel Ministero dei Beni Culturali. Una sentenza non basta, ma può aiutare a far crescere la consapevolezza che la posta in palio è alta e tocca la concezione stessa di fondamentali diritti costituzionali reinterpretati ad uso e consumo di processi di riorganizzazione che vorrebbero imporre, tramite i media compiacenti, una immagine di efficientismo manageriale minacciata dall’esercizio di prerogative democratiche come la libertà di opinione o di sciopero, il diritto alla buona occupazione, la difesa del principio di tutela del patrimonio culturale. Un giudice a Cuneo ci ha dimostrato invece che è possibile smontare questo canovaccio, che non necessariamente siamo destinati ad una deriva autoritaria”, conclude la Fp Cgil.