Quella dei Bad Bones è una storia che vale la pena raccontare. Perché la band cuneese ha coraggio, ha molto coraggio.
Ha avuto il fegato di mollare tutto, famiglie, fidanzate, lavoro, si è imbarcata con pochi dollari in tasca e tanti sogni in testa per l’America e qui, dopo aver vissuto di stenti tra gangster messicani e bizzarri pellerossa, è riuscita a ricreare una dimensione quasi familiare, una seconda casa che ha fulcro ad Oxnard e cassa di risonanza al Whisky a Go-Go. Tutto questo grazie ad una fortissima determinazione, ad una devozione assoluta per il rock più marcio. Oggi, a 10 anni di distanza, i Bad Bones sono ancora qui, una credibilità musicale rafforzata, quattro album alle spalle, l’ultimo dei quali, ‘Demolition Derby’, li ha portati a conquistare anche la Russia dopo aver messo a fuoco e fiamme l’America e una voglia di continuare a suonare che pare non volersi esaurire mai. Proprio per festeggiare i 10 anni di carriera, i Bad Bones, ovvero Steve e Lelle Balocco, Sergio Aschieris e Max Malmerenda chiamano tutti a raccolta venerdì 9 giugno al Nuvolari Libera Tribù di Cuneo per uno show celebrativo di grande impatto, impreziosito da alcuni ospiti d’eccezione come Meku Borra, primo cantante della band tornato con il gruppo per una sera, e “The Voice” Roberto Tiranti, cantante di Labyrinth, New Trolls, Wonderworld… L’apertura cancelli è prevista per le 20, l’ingresso è gratuito.
Per celebrare il gruppo Cuneese siamo andati a riprendere una lunga chiacchierata nella quale emergevano i sogni, le speranze e tutto l’amore per il rock di questi ragazzi.
Come è iniziato il “sogno americano” per i Bad Bones?
“(Steve Bone) E’ partito tutto da un nostro pezzo, ‘Bad Bone Boogie’, strano eh? Insomma, siamo in saletta, è una delle nostre prime prove, stiamo scrivendo i pezzi, ho in mano questo riff e questo testo che parla del deserto americano e di un biker che sfreccia sulla highway, guardo Meku, gli chiedo di fare un’intro polverosa, e lui mi fa questa parte di chitarra con lo slide. Ci guardiamo e abbiamo la stessa idea: dobbiamo andare nel fottuto deserto della California, dobbiamo capire se è veramente così come ce lo stiamo immaginando ora! Quindi abbiamo messo qualche soldo da parte, abbiamo preso un aereo e siamo andati a Los Angeles. Doveva essere una vacanza di 10 giorni a gennaio dell’anno scorso, volevamo vedere il deserto e poi chiaramente Hollywood, Sunset Strip e la scena rock di LA…insomma confrontarci con quella curiosità che era nata dentro di noi mesi prima. Trascorriamo diverse serate a fare festa nei locali dello Strip, conosciamo un po’ di gente, tra cui Celina Denkins, booking agent del Whisky a Go-Go a cui lascio una copia dell’ appena registrato ‘Smalltown Brawlers’. Poi ce ne andiamo belli belli a Las Vegas, attraversiamo il “nostro deserto” ci spacchiamo per bene per due giorni nella “Sin City” e poi arriva la chiamata più assurda della mia vita: “vorrei vedere i Bad Bones suonare al Whisky a Go-Go…avete dei pezzi stupendi…” Il locale ci mette a disposizione una backline, ci da chitarra, basso e batteria e noi finiamo la nostra vacanza suonando in uno dei club più famosi del mondo! La serata va alla grande e Celina ci consiglia di tornare in estate e stare qualche mese perché, secondo lei, abbiamo bisogno di farci le ossa nella scena di LA! In quei giorni sembrava di vivere in un film…avreste dovuto vedere le nostre facce!”
E così l’estate dopo avete preso e siete tornati a L.A, anche se i primi tempi non sono stati facili, vero?
“I sogni vanno coltivati e non sono gratis, se vuoi qualcosa te lo devi sudare e così è stato per noi!L’America è stata un banco di prova, una sfida con noi stessi… Quando siamo tornati per la seconda volta, avevamo due date, una al Whisky e una a Long Beach, e i soldi contati per raccattare un furgone e una backline. Abbiamo vissuto per quindici giorni su quel fottuto furgone carico di strumenti, quindi ci siamo trasferiti in una squallida sala prove a Wilmington, uno dei quartieri più malfamati della “Città degli angeli” a vivere con una gang di messicani…facevamo la fame ma riuscivamo a fare date, i promoter locali ci aiutavano e suonavamo quasi tutte le sere, tra Hollywood Glendale e Long Beach…il vero problema era recuperare un panino per avere almeno la forza di salire sul palco! Altro che party selvaggi e whisky. I primi due mesi sono stati fame, gangster e luridume, veramente condizioni di vita estreme! Ma continuavamo a dirci: siamo qua per vedere dov’è il nostro limite, e la risposta è una sola, siamo pronti a tutto per la band. No questions!”
Quanto è stato duro mollare tutto e buttarvi in questa avventura?
“Era dura e lo sapevamo ancora prima di partire, ma era necessario fare questa impresa. Avevamo bisogno di affrontare una grande sfida come quella, volevamo metterci alla prova. Abbiamo mollato il lavoro, lasciato a casa ragazze e rinunciato a qualsiasi certezza per quel lungo viaggio, ma ci sono dei momenti nella vita in cui senti che è giunta l’ora di prendere una decisione, magari anche drastica e un po’ folle, ma il tuo cuore ti dice che quella è la tua strada. Eravamo tutti consapevoli di quello che stavamo facendo, eravamo disposti a tutto, e ora te lo posso dire: non abbiamo più paura di niente e di nessuno, siamo sopravvissuti a situazioni estreme e siamo riusciti farci rispettare nella scena rock californiana. Siamo orgogliosi di noi stessi e più uniti di prima!”
Ma hai mai pensato di mollare tutto, di non farcela?
“Mollare no! Io non mollo mai, non farcela…a fare cosa? I nostri obiettivi in America erano: suonare, mangiare, evitare di ritrovarsi con una buco nella fronte. Non siamo andati laggiù per diventare rockstar, non siamo così ingenui! Siamo andati laggiù per trovare i Bad Bones, quelli veri. Dovevamo stare per strada, farla diventare la nostra casa, conoscere quella durezza. Eravamo pronti a tutto e ti posso dire che siamo in grado di sopravvivere a qualsiasi cosa! L’America è stato un buon rodaggio, i Bad Bones sono nati a Wilmington, vicino al porto di Los Angeles, tra San Pedro e Long beach, vivendo come i barboni e suonando al Whisky o al Key Club a Hollywood!”
Com’è l’impatto di una giovane band cuneese che si trova nel marasma di Los Angeles?
“Los Angeles è una città stupenda e contraddittoria. Noi siamo partiti dal basso, abbiamo iniziato a conoscerla dai posti peggiori e più pericolosi. Devo dire però che abbiamo trovato tante persone che credevano in noi e che ci hanno aiutato tantissimo, siamo stati anche molto fortunati. Laggiù può accadere di tutto e sanno riconoscere chi fa sul serio! Pensa che Cisco System, una multinazionale informatica di San Francisco, ha persino usato ‘Poser’ per uno spot; un pezzo grosso di questa grande azienda era ad un nostro concerto, gli siamo piaciuti, ha comprato il disco e il giorno dopo abbiamo firmato il contratto con loro! Siamo riusciti a incontrare gente come Slash o Billy Corgan e sopravvissuti alla fame e alla sporcizia in cui vivevamo…è veramente successo di tutto o meglio tutto e il contrario di tutto! La sera prima a bere con Slash e il mattino dopo a farti una pseudo doccia su un marciapiede rovesciandoti addosso una tanica d’acqua!”
Come siete riusciti a conquistare il pubblico americano?
“Noi ci muoviamo in America come ci muoviamo in Italia ed in Europa, suoniamo nei club, diamo il massimo, cerchiamo il contatto con i ragazzi. Abbiamo delle cose da raccontare attraverso un pugno di buone canzoni, crediamo alla morte in quello che facciamo e sappiamo perfettamente chi siamo. Vogliamo fare divertire la gente, dargli un po’ di sane bastonate sulle chiappe e farli bere più che si può (in America prendi il 15% del bar, quindi…). Negli Stati Uniti ci muoviamo fondamentalmente come una “local band”, abbiamo un agguerrito seguito tra Oxnard e Hollywood che ci da man forte nei concerti e si sbatte per promuoverci così come succede tra Cuneo,Torino e Milano. Non abbiamo grandi etichette alle spalle che hanno soldi da spendere in promozione, così noi trasformiamo i nostri fan nella nostra etichetta e credimi, sono i migliori promoter del mondo! Nell’ultimo concerto che abbiamo fatto al Whisky, a giugno, erano tutti per noi, c’erano ragazzi che avevano fatto ore di macchina per venirci a vedere, e appena tornati a Cuneo abbiamo fatto un concerto da 1000 persone al Nuvolari”.
Se vi guardate indietro, cosa vi viene da pensare? Cosa erano i Bad Bones e cosa sono oggi i Bad Bones?
“(Steve) Dieci anni vissuti veloci come fossero un anno, a viso aperto, nel bene e nel male, senza guardarsi indietro, momenti in cui ci sentivamo invincibili, momenti in cui ci sentivamo persi, momenti in cui ci siamo amati e anche odiati, ma penso faccia parte delle regole del gioco, sono fiero dei Bad Bones quelli di oggi come quelli di ieri, siamo una band coerente, che è riuscita a fare quattro dischi e a crescere sotto tanti punti di vista, senza mai smettere di amare il rock’n’roll e la libertà di suonare la propria musica senza compromessi, che piaccia o no, noi siamo questi!”
“(Lele) Forse è un po’ presto per tirare le somme, comunque per ciò che riguarda il passato, vedo una band che non ha mai mollato e nel presente un disco che mi convince al 100%”.
Se poteste cambiare qualcosa nell’universo Bad Bones, di quanto accaduto in questi anni (e di cose ne sono accadute molte), cosa cambiereste?
“(Steve) Personalmente non cambierei nulla, anche le scelte più sbagliate son servite, anche i momenti più duri sono stati utili, abbiamo perso per strada Meku e questo è stato un grande dispiacere, ma allo stesso tempo abbiamo trovato SerJoe e senza di lui non sarebbe stato possibile trovare l’equilibrio e la freschezza che abbiamo ora, quindi anche questa separazione ha avuto un senso nella crescita della band. C’è una continuità nel fare le cose in un certo modo, c’è una mentalità nella band che è rimasta la stessa fin dal nostro primo album, vogliamo essere crudi e veri, siamo una live band e ognuno di noi ha ben chiaro chi siamo e dove andiamo e credetemi non è poco!”
“(Lele) E sì di cose ne sono successe tante, abbiamo commesso molti errori, e non nego che se potessi tornare in dietro ci metterei qualche pezza, comunque siamo sopravvissuti questo è ciò che più conta”.
Due di voi in questo lasso di tempo sono diventati papà e la paternità cambia la vita di un uomo. Pensate che abbia in qualche modo anche cambiato il vostro modo di fare ma soprattutto di vivere la musica?
“(Lele) Diventare genitore è una gioia, sicuramente è stato un passo importante e meraviglioso, non per questo è venuto meno l’approccio di sempre alla musica e al modo di lavorare… più che altro ora abbiamo un qualcosa in più che prima mancava, tutto ciò è molto bello e importante”.
“(Steve) Avere un figlio cambia molte prospettive, aggiunge un colore a tutto e anche alla musica, una sera Roberto Tiranti mi fa: “Ragazzi sto disco mi piace davvero tanto perché è un disco “happy” pieno di energia positiva!”, aveva perfettamente ragione! Diventare genitori al di là delle naturali ansie quotidiane è gioia allo stato puro e questo non può non riflettersi nella nostra dimensione artistica! Mia figlia mi sta insegnando nuovamente a giocare e così facendo, in qualche modo, mi sta insegnando anche a suonare e scrivere canzoni perché come dicono gli inglesi suonare e giocare sono la stessa cosa!”
I Bad Bones hanno un pregio riconosciuto: come si muovono, piacciono. Forse anche più di quanto farebbe una quotata band straniera. Mi ricordo i pullman dalla provincia di Cuneo per vedervi suonare 20 minuti all’Italian Gods Of Metal, mi ricordo concerti con 1000 persone al Nuvolari di Cuneo, so di concerti sold out a Roma, so di uno zoccolo duro di fan in Veneto… come vi spiegate tutto questo affetto e questo appeal che avete con il vostro pubblico?
“(Lele) Io non ho una spiegazione, credo che il lavoro fatto bene, comunque paghi sempre, e che ci siano ancora delle persone che per fortuna non si facciano influenzare dal mainstream ma che abbiano ancora la passione per cercare le band che gli piacciono nell’underground e che con la loro testa cerchino e scelgano ciò che gli piace, non prendendo per buono tutto quello che gli viene propinato dalle major. E’ fatastico! Amo questi nuovi ribelli”.
“(Steve) Credo che la gente sappia riconoscere se sul palco dai tutto e sei vero, non suoniamo per essere qualcuno, suoniamo perché siamo noi stessi e ci va bene così. Non vogliamo piacere a tutti i costi ma vogliamo piacere a noi stessi, lavorando duro, cercando di fare show al massimo delle nostre possibilità anche quando il locale è vuoto; lì sta la differenza, lì costruisci la base di fan: troppo facile salire sul palco del Gods of Metal e fare le star, vatti a prendere i fan uno ad uno nelle bettole dove quando ti va bene sono in 4/5 a sentirti, show dopo show i 4/5 diventano 10/15 poi 20/30 e via così se sei bravo. Se non ci riesci vuol dire che devi migliorare, non bisogna mai dare la colpa alla gente o piangersi addosso! Sento troppa gente mugugnare ultimamente: studiate, sbattetevi, migliorate, solo così è possibile creare un pubblico. La gente si affeziona se hai le palle e dai qualcosa, vede la band crescere e si riconosce nella strada fatta assieme! Questo non vuol dire che non bisogna promuoversi partecipando a grandi festival, ci mancherebbe, però lo zoccolo duro lo costruisci nei piccoli club e nei pub”.
Fabio Magliano
Foto Alice Ferrero