Servire la ripresa sul tavolo delle PMI agroalimentari e dell’economia generale.
Il Food industriale si candida a un ruolo non soltanto settoriale ma di impulso complessivo all’azienda Italia, anche attraverso un sistema associativo che, lungi dall’essere notaio o applicatore di scelte normative o burocratiche non sempre coerenti con le esigenze della crescita, sia in grado di condizionare le stesse a beneficio dei piccoli e medi imprenditori del settore e della filiera.
Antonio Casalini, da un mese alla presidenza nazionale di Unionalimentari Confapi, leader del gruppo dolciario Midi Lazzaroni, ha cominciato da Moretta e da Inalpi, cuore della milk Valley cuneese e del Nord Ovest, il proprio tour nei distretti del made in Italy goloso.
Accolto dai fratelli Ambrogio e Pierantonio Invernizzi, a capo rispettivamente di Inalpi e Confapi Cuneo, e da Giuseppe Rossetto, vice provinciale dell’associazione e presidente nazionale vicario di Unionalimentari, Casalini ha anticipato alcune specificità programmatiche del proprio mandato, partendo da una chicca di fondamentale importanza: “Non tutti sanno – esordisce il vertice nazionale – che Unionalimentari ha siglato con le organizzazioni sindacali un contratto nazionale che viene applicato da oltre quattromila imprese agroindustriali, ossia il doppio di quelle aderenti alla nostra confederazione di categoria. Questo indica un potenziale di capacità rappresentativa che andremo sviluppando facendoci conoscere nei distretti Food del Paese. Anche perché la particolarità di fondo è una, semplice ed evidente”.
Quale sia, è presto detto: “Il 90 per cento del settore della produzione agroalimentare è espresso da PMI, quasi sempre nate e cresciute molto in fretta, le cui potenzialità produttive, occupazionali e qualitative, pure assai notevoli, si scontrano con le problematiche legate alla gestione e alla dimensione organizzativa”.
La soluzione vincente si trova pertanto nella ripresa della filosofia della filiera e del distretto, che anche nel mutato contesto macroeconomico può marcare la differenza a beneficio della produzione italiana sui mercati interni e internazionali.
“Una realtà come Inalpi è un modello esemplare – commenta Casalini – perché ha dimostrato come si possa, da una storica intuizione di base, crescere e continuare a investire sul mercato italiano e crescere su quello mondiale senza delocalizzare, e siglando partnership prestigiose come quella con Ferrero di Alba.
Ecco, il nostro compito associativo è ricreare le condizioni perché la filiera alpina cuneese possa essere seguita da altre realtà italiane. Ne deriverebbe un aumento molto forte e generalizzato del volume delle esportazioni, legato al maggior numero di imprese che esportano”.
Qui il nuovo presidente mette l’accento sull’importanza di un rinnovato ruolo delle Associazioni economiche: “In tempo di crisi e di deficit di fiducia, esse vengono viste come organizzazioni orientate all’applicazione pura e semplice di norme e adempimenti vari, piuttosto che all’esercizio della rappresentanza degli interessi degli imprenditori iscritti. In un settore come quello alimentare, dove le normative sono oramai di derivazione europea, compito di una associazione come la nostra è saper negoziare, a Bruxelles così come a Roma e nei territori, le migliori condizioni ordinamentali e operative per l’agroindustria, anche in forza delle competenze specialistiche di cui Unionalimentari dispone al proprio interno e a cui talvolta si rivolgono anche gli uffici ministeriali e pubblici. Spesso, una direttiva o un regolamento, in base al modo in cui il provvedimento viene scritto o interpretato in sede di ministero, determina le sorti di un intero settore produttivo o di una filiera”.
Rapporti innovativi con il settore pubblico, ma anche con gli altri settori economici, che si collocano prima e dopo la fase della produzione agroindustriale: “Il comune obiettivo deve essere l’abbattimento dei costi che pesano in eccesso sul sistema Italia, accomunando nella crisi tanto l’agricoltura quanto l’industria, il commercio e l’artigianato – conclude Casalini – Sono meritorie alcune battaglie tese a ottenere il riconoscimento di tracciabilità dei prodotti agricoli italiani, ma le stesse devono poi fare i conti con fattori esterni a cui tutti siamo assoggettati e che portano, in un momento ancora difficile per i redditi familiari, un determinato prodotto italiano a costare di più di uno estero al supermercato.
Al tempo stesso, molte PMI agroindustriali sono messe in difficoltà dalla chiusura di negozi e botteghe che creano problemi sul versante altro della commercializzazione”.
Il che conferma ancora una volta e maggiormente l’assunto finale: “Ogni filiera cresce al proprio interno e verso l’esterno solo se si riducono i costi di sistema, per esempio migliorando i collegamenti stradali da e verso realtà industriali come Moretta e Inalpi, e semplificando la vita alle imprese in modo trasversale a tutti i settori, perché da qui possono ripartire in modo capillare i distretti e le filiere che hanno permesso il miracolo economico”.