Gli ultimi dati Istat prevedono per l’Italia, nel 2017, un aumento del prodotto interno lordo dell’1,5%: un più 0,6% rispetto a quello fatto registrare nel 2016. Con un tasso di disoccupazione in calo all’11,2%. Risultati importanti che, seppure ancora inferiori alla media dei Paesi Euro e, soprattutto, delle nazioni avanzate o emergenti, fanno comunque ben sperare per un’uscita dalla crisi economica. Base fondamentale di ogni ragionamento su questo fronte è il lavoro.
Ne abbiamo parlato con il viceministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Andrea Olivero. “Il fondatore delle Acli, Achille Grandi – sottolinea Olivero – nell’immediato dopoguerra, quando si trovò a dover affrontare il nodo della riorganizzazione sindacale, ma allo stesso tempo, l’enorme problema della ricostruzione industriale, diceva che tutelare il lavoro è possibile soltanto se c’è il lavoro. Quindi, in altre parole, è prioritario far nascere nuove opportunità di occupazione per dare speranza di sviluppo e sicurezza sociale alle persone. Oggi ci ritroviamo in una situazione per certi aspetti uguale”.
Con quali prospettive? “Stiamo assistendo a una nuova trasformazione epocale del mondo del lavoro: dall’industria 4.0 che investe nelle tecnologie innovative alla vendita su internet dei prodotti, ai servizi offerti on line. Sistemi capaci di modificare radicalmente i costumi dei cittadini e una parte importante dell’occupazione”.
Cosa possono fare le Istituzioni? “Creare le condizioni affinché si affermino nuovi lavori ad alto valore aggiunto, in grado di resistere a questa rivoluzione in atto. Nel concreto si tratta di aiutare le attività che si occupano dell’ambiente, dell’ambito agricolo nelle tante aree del Paese considerate, a torto, marginali, e invece dalle rilevanti potenzialità, di quelle legate alla promozione turistica, culturale e sociale. Occupazioni, oggi, meno tutelate e valorizzate delle altre che hanno caratterizzato il mondo del lavoro negli ultimi decenni e sulle quali perdura ancora una situazione di forte crisi”.
Quali sono stati i provvedimenti del Governo che hanno aiutato a creare nuova occupazione? “Certamente il Jobs Act ha avuto una grande importanza per superare anacronistiche modalità di gestione del mercato del lavoro e, pur con alcuni limiti, ha sviluppato nuova buona occupazione. Le assunzioni di decine di migliaia di precari nella scuola e, proprio in Legge di Bilancio, negli Enti di Ricerca, sono un segnale importante di fiducia nel futuro. Rimangono molti passi da compiere per migliorare il sistema di incontro tra domanda e offerta e per accompagnare i lavoratori nel loro percorso di formazione continua. A poco servono gli ammortizzatori se non ci sono servizi efficienti per gestire il passaggio da una occupazione all’altra. È questo che condanna alla precarietà molti giovani”.
In questo contesto, la provincia di Cuneo quale ruolo può giocare? “La crisi ha colpito duro pure da noi, anche se in termini assoluti la situazione è assai migliore rispetto ad altre aree del Paese. Alcune difficoltà, ben gestite da sindacato e politica, sono state superate bene (penso alla Michelin o alla Diageo, ad esempio), ma altre rimangono drammaticamente aperte. Il nostro territorio può diventare un laboratorio per l’occupazione del futuro: da un lato occupazione specializzata, da industria 4.0 (e le nostre industrie meccaniche e agroalimentari stanno andando in questa direzione); dall’altro sviluppo di nuovo lavoro nelle attività artigianali e agricole connesse alla valorizzazione del territorio e della sua vocazione turistica, culturale ed enogastronomica. Inoltre il Cuneese può far crescere buona occupazione nel settore dell’assistenza, da quella domiciliare alle residenze protette. Anziani, disabili, malati: in tutte le nostre famiglie c’è richiesta di lavoro di cura, che sempre di più deve essere organizzato e valorizzato”.