L’aumento della temperatura del nostro Pianeta è certa, così come la responsabilità umana di questo riscaldamento globale. È il monito lanciato in occasione dell’incontro sul clima, organizzato dalla Direzione Ambiente della Regione Piemonte lo scorso 13 dicembre, in occasione del primo appuntamento formativo destinato a una platea di tecnici del settore, tutti in qualche modo coinvolti nell’approntare una seria ed efficace strategia regionale sui cambiamenti climatici.
Sempre a proposto di certezze «dal 1700 a oggi, la distribuzione di emissioni di CO2 (anidride carbonica) in atmosfera ha avuto un andamento esponenziale, a partire dalla Rivoluzione industriale», ha spiegato Stefano Tibaldi, Senior Scientist del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, invitato per l’occasione tra i relatori. È infatti dal ‘700 che la produzione di carbonio ha conosciuto una crescita vertiginosa, dovuta al fatto che abbiamo bruciato combustibili in base di carbonio per qualsiasi fare cosa: generare energia, alimentare i trasporti, usare il suolo. «Tutto il carbonio emesso viene assorbito per un terzo dall’oceano, per un terzo dalla superficie terrestre e un terzo rimane in atmosfera, ovvero non viene assorbito», ha continuato il relatore. Nel corso del tempo, quindi, è un dato certo che la composizione dell’atmosfera del nostro Pianeta è cambiata: «Dal XVIII Secolo qualcosa è successo, e negli ultimi 100 anni la situazione è ulteriormente peggiorata». Il cambiamento dell’atmosfera ha interferito con i processi di raffreddamento naturali della Terra e oggi ci troviamo ad avere un’atmosfera più spessa, un equilibrio termico terrestre diverso e un Pianeta surriscaldato.
I dati dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico – Intergovernmental Panel on Climate Change) denunciano un’impennata del riscaldamento globale a partire dagli Anni ’80 che non ha più rallentato, sebbene ci sia molta variabilità da un anno all’altro. «Si scalda dappertutto», ha raccontato Tibaldi. L’emisfero Nord, decisamente più continentale rispetto continentale, è più caldo. La temperatura è più alta nelle alte latitudini e in basso, cioè il suolo è più caldo rispetto la stratosfera. Da questa situazione derivano piogge più intense laddove già piove molto e moti del suolo in generale più violenti. «Di questo passo, la calotta polare artica sarà presto un fenomeno stagionale», ha spiegato lo studioso mentre aumenterà ancora di più il livello del mare «perché si sciolgono i ghiacciai continentali e perché naturalmente il mare su espande se è surriscaldato in superficie». L’acqua degli oceani subirà un processo di acidificazione, perché buona parte dell’anidride carbonica emessa di scioglierà in queste acque, apportando danni seri alla naturale biodiversità degli ambienti. Gli uragani saranno sempre più potenti e devastanti.
I cambiamenti climatici nel mondo e in Italia
Oggi, il Paese maggiore produttore di emissioni di carbonio è la Cina che ne produce 1,5 volte in più rispetto gli Stati Uniti. L’Europa è piuttosto virtuosa, anche se viene da chiedersi se è il merito sta in politiche davvero lungimiranti oppure in una crisi economica non ancora superata. Eppure, nonostante questa virtuosità, la temperatura europea è aumentata di 2°C, ed è aumentata la probabilità di ondate di caloreestive provenienti da anticicloni africani – e non più dalle Azzorre – in seguito al cambiamento della circolazione atmosferica. In Europa è l’intensità delle precipitazioni è in crescita, soprattutto se si verificano all’inizio e alla fine dell’estate e la siccità di breve durata metterà sempre più in difficoltà la gestione delle risorse idriche.
In Italia, dagli Anni ’80 a oggi, abbiamo raggiunto quasi i +2°C ma se andiamo più indietro nel tempo e cominciamo la nostra analisi dall’800, la temperatura si è innalzata di ben 2,5°C. Il clima si è tropicalizzato e la minore frequenza di precipitazioni (-15% annuale) che raggiunge picchi in estate (–40%) costituisce un problema serio per l’approvvigionamento delle risorse idriche. Ma dove finisce tutta l’acqua che non c’è più? In parte evapora, e in parte è prelevata per usi agricoli: riso, mais e kiwi vanno per la maggiore, tutte coltivazioni che danno buona resa ma che necessitano di molta irrigazione. A confermare il dato, basti pensare che il 70% delle risorse idriche prelevata dal Fiume Po è destinato all’agricoltura, il 20% all’industria e il 20% per uso umano.
Il futuro che ci aspetta
Le proiezioni dicono che «anche se riducessimo le emissioni di carbonio, quelle prodotte finora restano in atmosfera almeno altri 200 anni», ha spiegato Tibaldi. Questo è anche uno dei motivi per cui la politica fa fatica a elaborare indirizzi che raggiungano risultati visibili nell’immediato. Ciononostante, le conseguenze dovute al cambiamento climatico devono entrare nell’agenda dei decisori politici perchè «il clima è un tema trasversale, che riguarda tutti gli aspetti che ci troviamo a governare: dai trasporti, ai piani per migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua, ai protocolli della green education…» ha commentato Alberto Valmaggia, assessore all’Ambiente della Regione Piemonte, intervenuto all’incontro. Il ‘clima’ resta un concetto complesso, astratto e difficile da percepire. Spesso si fa confusione tra «il clima, ovvero ciò che ci aspettiamo, e tempo meteorologico, ovvero ciò che effettivamente ci troviamo a vivere ogni giorno», ha spiegato Marco Bagliani, docente al dipartimento di Economia e statistica dell’Università di Torino.
Campo privilegiato dello spirito divino, oggi è un argomento che i mass media personalizzano moltissimo – il clima che impazzisce, il clima che deve essere protetto – e resta un tema difficile da affrontare perché «riguarda l’intero Pianeta ma ha effetti diversi a seconda dei territori; coinvolge più attori; subisce una dilatazione temporale tra le cause e gli effetti, e le stesse cause sono differite spazialmente: se inquino in un luogo, dove ne misurerò gli effetti?», ha detto il docente. Come orientarsi, dunque, nella controversia sul riscaldamento globale? Intanto, avendo ben presente che è una disputa più vigorosa a livello mediatico che all’interno della comunità scientifica – non si trova, infatti, un solo articolo che neghi il cambiamento climatico – e che ogni volta in cui si passa dalla certezza al dibattito, robustezza dei dati e corrette interpretazioni scientifiche possono confutare qualsiasi teoria negazionista. Una grande responsabilità sta in capo, quindi, al mondo della scienza che deve essere in grado di divulgare i propri studi e le proprie ricerche – da qui l’importanza di sapere comunicare e raccontare i cambiamenti climatici all’uditorio più vasto – e alla politica che deve essere in grado di compiere scelte lungimiranti.
A proposito della lungimiranza politica
Una politica responsabile negli indirizzi e nelle azioni è una necessità sempre più forte, perché se non faremo niente, entro fine secolo, raggiungeremo un surriscaldamento globale del Pianeta di almeno + 3,5 °C, con picchi nell’area Mediterranea che potranno anche sfiorare i +5 o +6 °C», ha affermato il professore Tibaldi. E per lungimiranza si intende la capacità di intraprendere azioni di adattamentoai cambiamenti climatici – i cui effetti sono misurabili nel breve periodo – ma anche azioni di mitigazione che possono raggiungere risultati significativi entro il prossimo ventennio.
Il nostro Paese si è dotato di una strategia nazionale sui cambiamenti climatici indispensabile «ma che non è ancora un piano. A ogni buona strategia devono, infatti, seguire azioni e misure concrete, bastate su risorse finanziare certe e prioritarie. Solo così una strategia diventa un piano», ha affermato il relatore, chiosando con una battuta sugli accordi internazionali: «L’Accordo di Parigi? Potremmo farci un film!». E se in ogni battuta si nasconde un po’ di verità, tutti noi sappiamo che gli Accordi internazionali sono importanti, ma se non applicati restano splendide disquisizioni teoriche per le quali non c’è più tempo. Lo ha detto anche Papa Francesco nella sua Enciclica forse più famosa ‘Laudato sì’ – illustrata da Paolo Foglizzo della rivista Aggiornamenti Sociali – dove il clima è descritto come bene comune e il dialogo come strumento per una strategia di elaborazione delle politiche in materia di ambiente, utile a individuare le responsabilità che incombono sui vari attori del clima: pubblica amministrazione, politica, società civile, noi stessi con i nostri stili di vita.
Intanto, il Piemonte si proietta verso la concretezza: «La strategia regionale dei cambiamenti climatici, approvata lo scorso luglio dalla Giunta regionale, definirà a livello piemontese misure e interventi da mettere in campo per mitigare gli effetti del clima», ha detto Roberto Ronco, a capo della Direzione Ambiente regionale. Primo risultato della strategia, la costituzione di un «gruppo di lavoro interdispciplinare che ha l’ambizioso obiettivo di orientare le varie attività regionali sul tema» ha concluso Jacopo Chiara, dirigente regionale del settore Progettazione strategica e Green Economy e che ha già dato vita al primo, e più che affollato, appuntamento formativo.