Il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ha presentato i Distretti del Cibo: un nuovo strumento previsto dalla Legge di Bilancio 2018 per garantire ulteriori risorse e opportunità di crescita e di rilancio, a livello nazionale, delle filiere e dei territori. Come vengono definiti e quali elementi distintivi devono avere?
Sono i distretti rurali e agroalimentari di qualità già riconosciuti o da riconoscere; quelli localizzati negli spazi urbani o vicini agli stessi contraddistinti da una significativa presenza di imprenditoria agricola che si pone l’obiettivo della riqualificazione ambientale e sociale delle zone individuate; quelli caratterizzati dall’integrazione fra attività rurali e attività di prossimità; i distretti biologici. Per assicurare lo sviluppo di tutto il territorio e non solo delle filiere i nuovi Distretti devono operare attraverso programmi di progettazione integrata. Quindi, con Piani capaci di mettere a sistema l’intera filiera facendo rete, creando collaborazioni e puntando sempre di più a un concreto e forte legame tra le varie componenti del settore. Il loro riconoscimento è affidato alle Regioni e alle Province autonome che provvedono a comunicarlo al Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali presso il quale è avvenuta l’istituzione del Registro nazionale.
Il sostegno all’iniziativa è stato finanziato attraverso 5 milioni di euro nel 2018 e 10 milioni di euro a partire dal 2019. “Per consentire lo sviluppo dei nostri territori – dice il viceministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Andrea Olivero – c’è ancora bisogno di compiere un salto di qualità. Con questo obiettivo abbiamo rilanciato e rafforzato l’esperienza dei Distretti, in quanto per tutelare le imprese agricole vanno costruiti rapporti più stretti nelle filiere e nei servizi capaci di guardare a tutto il territorio nel suo complesso. Mettendo insieme aziende, cittadini, associazioni e istituzioni per raggiungere obiettivi comuni”.
Tradotto in pratica? “Si tratta di una strada innovativa, che permette al nostro Paese di guardare allo sviluppo locale e alla tutela del paesaggio attraverso un approccio nuovo. Mi immagino, in quest’ottica, il tema del rapporto tra città e agricoltura, la maggiore collaborazione tra realtà agricole e quelle di prossimità, a partire dai mercati contadini, l’integrazione con il turismo e i distretti del biologico in cui la sostenibilità diventa leva di competitività anche al di fuori dei confini strettamente rurali”.
Un percorso che dà certezze per il futuro? “Sicuramente. Per la prima volta facciamo una scelta di sostegno chiara, mediante risorse concrete e pluriennali, con lo scopo di aiutare lo sviluppo dei progetti. Dopo Expo e nell’Anno Nazionale del Cibo – il 2018 – prevediamo un altro tassello fondamentale capace di dare ulteriore forza al Made in Italy agroalimentare”.
Quali sono le prospettive dei Distretti nella “Granda”? “La provincia di Cuneo, con la sua forte vocazione agroalimentare, è l’area ideale per far nascere i Distretti del Cibo. Penso al settore della frutta – dalle mele alle pesche, fino ai piccoli frutti -che vede e sempre di più dovrà avere sul posto anche aziende di trasformazione; penso alla grande filiera dei prodotti di montagna: da quelli caseari fino alle erbe officinali. E, naturalmente alla “sweet valley” delle Langhe, caratterizzata da produzioni dolciarie di qualità derivanti, spesso, da prodotti agricoli del territorio. Oltretutto le attività sono accompagnate da studio e ricerca, come stanno a testimoniare, ad esempio, l’Università di Pollenzo e la Fondazione Agrion. Insomma, il Cuneese del buon cibo può costituire un ottimo laboratorio per lo sviluppo dei distretti e può avere in questi un’ulteriore occasione di crescita agricola, agroalimentare e dell’intero territorio”.