Preg.mo Sig. Sindaco,
plaudo alle iniziative con cui lamministrazione comunale ha onorato il centenario della Vittoria italiana nella prima guerra mondiale, in particolare allinstallazione dei due tricolori sulla rotonda di Viale Rimembranze ed al restauro delle targhe sui cippi dedicati ai caduti braidesi, manifestazioni tangibili dinteresse verso un capitolo di storia spesso relegato a commemorazioni di circostanza, intrise di retorica faziosa e fuorviante. Come quelle di coloro che ricordando i caduti duna guerra provano disagio ad enunciarne lesito, ancorché favorevole ai propri connazionali.
Mi stupisco in particolare di come si possa affermare come Lei ha fatto nel discorso dinanzi al monumento in Piazza Roma che il 4 Novembre di cento anni fa lItalia ed il mondo impazzirono di gioia dinanzi alla fine della grande guerra. Escludo che una parte di mondo, in particolare gli sconfitti, si trastullassero sulla via della ritirata. Impazzirono di gioia semmai i vincitori e gli irredentisti, delle cui imprese oggi si tende ad annacquare la memoria; impazzirono di gioia le ragazze di Trieste, rese famose dalla canzone popolare La campana di San Giusto.
Mi preme rammentarLe come il bollettino della vittoria di cui vè una riproduzione anche nellatrio del nostro municipio narri duna vittoria conseguita da un esercito, quello italiano, chiamato al proprio primo cimento bellico dopo lunità nazionale, e di armate, quelle dellEsercito Austo-Ungarico, annientate.
Ritengo deplorevole mutilare il 4 Novembre celebrando soltanto lUnità Nazionale e le Forze Armate. Il 4 Novembre, dal 1919, si celebra una vittoria; trascurarlo è un oltraggio nei confronti di tutti i caduti italiani, in particolare dei 231 braidesi che sino allanno prima la guerra lavevano combattuta. E non certo per puro spirito decubertiano, ma per vincerla, immolando le loro vite per sconfiggere un nemico e tracciare indelebilmente i limiti entro i quali lItalia esercita la propria sovranità.
Comprendo che questi che precedono, per certuni, siano termini poco graditi; occorre tuttavia rammentare loro come la Costituzione che spesso brandiscono contro chi vi fa ricorso, a mo di retaggio, onde avvalorare quel po degemonia culturale superstite dopo ottanta anni di mistificazioni, la sovranità la preveda, e la attribuisca al popolo.
In un contesto apparentemente appacificato, ove le guerre si combattono non più in trincea, ma su conti cifrati, attraverso manovre speculative, ove gli unici confini davvero invalicabili sono quelli dei paradisi fiscali, il sacrificio degli avi che senza distinzione di censo e di ideologia si sono immolati sul Monte Grappa, sulle pietraie del Carso e sul Piave ci ricorda che la difesa della Patria, dovere sacro sancito dall’art. 52 della Costituzione, è molto più attuale di quel che sembra. Ed oggi a mio avviso s’adempie contrastando qualunque entità che pur senzarmi intenda sostituirsi allo stato nell’esercizio di quellegemonia, suprema, che ancora gli appartiene, in via esclusiva, e che deve esercitare, entro i propri confini, a beneficio del proprio popolo ivi stanziato.
Francesco Dallorto Bra