In punta di piedi mi affaccio alla vivace dialettica che sta infervorando istituzioni, associazioni e mondo della politica, nonché imprenditori della città, sul merito di dove e come pensare a un ospedale del futuro a Cuneo.
Ho la percezione, forse sbagliata, che tanta frenesia sul tema sia in parte dovuta a un’“agitazione pre-elettorale”, ma ben venga anche questa, se dovesse servire ad attirare l’attenzione su un reale problema, peraltro già affrontato da altre amministrazioni cittadine e da altre dirigenze del nostro nosocomio almeno negli ultimi dieci anni.
Il mio intervento è a titolo personale, da libero cittadino, non cuneese di nascita, ma adottato da questa meravigliosa città e dalla sua gente. Il ruolo che rivesto e gli impegni istituzionali, locali, regionali e nazionali, che mi vedono impegnato, mi permettono una visione abbastanza obiettiva e moderna delle questioni della salute e dei percorsi clinici sulla qualità delle prestazioni sanitarie.
Inoltre l’ultraventennale presenza, come primario, al “Santa Croce” (ricordo, ma è un dettaglio di poco conto, che in questo momento sono il decano dei primari in servizio, non il più anziano d’età, ma quello che da più tempo ha visto la trasformazione della nostra Aso, essendo stato il primo primario nominato da Fulvio Moirano nell’estate del 1996), mi permette di portare un contributo al dibattito in corso, attraverso alcune “suggestioni”, frutto di ragionamenti in corso da tempo con altri colleghi primari (e non solo) sul ruolo più articolato e complesso di quale sanità dovrà essere al servizio dei nostri figli e delle generazioni che verranno nel nostro territorio.
Ho letto e sentito molte ipotesi di lavoro, tutte rispettabili e con fondamenti razionali.
Non ho però ascoltato fare ragionamenti in grande, per la Granda. Perché è lì che bisogna puntare se vogliamo consolidare e accrescere la già nota tradizione delle eccellenze cliniche del nostro ospedale.
Ecco la prima suggestione.
I direttori generali cambiano, i politici cambiano, la gente resta, con i professionisti che
fanno con il loro quotidiano la qualità di quei buoni risultati sulla salute percepiti dai pazienti.
Manca un anello di stabilità che funga da motore e da acceleratore delle decisioni che gli uomini di oggi potrebbero prendere, ma che i politici di domani potrebbero non condividere.
Nessuno si è chiesto come mai sul nuovo ospedale di Alba-Bra (a Verduno, meglio ancora l’ospedale “Michele e Pietro Ferrero”) vi sia stata un’accelerazione temporale e funzionale per renderlo operativo, specie in questi ultimi mesi?
Il motivo è semplice: dietro questa accelerazione vi è la forza propulsiva data dalla popolazione e dal mondo della imprenditoria locale che si incarna nella fondazione “Nuovo ospedale”. Questa Onlus ha saputo raccogliere oltre 25 milioni di euro (e non è ancora finita), un tassello fondamentale per la messa in servizio di gran parte delle attrezzature e delle camere di quell’ospedale.
Ma, soprattutto, ha fidelizzato la popolazione di Langa e Roero nei confronti di un progetto che la gente sente proprio e non calato dall’alto.
Non posso non tener conto del ruolo positivo della politica e delle istituzioni, ma queste hanno dovuto confrontarsi con un “terzo gestore” che ha spinto verso l’attuazione del progetto come volontà del territorio.
Cosa manca oggi a Cuneo?
Manca questo tassello.
Manca uno zoccolo duro che prescinda dalla politica o dall’Asl/Aso e che si identifichi o negli “Amici dell’ospedale “ o nella “Confraternita di Santa Croce” che settecento anni fa pensava alla salute della gente come progetto etico e non come “location” dove far sorgere le mura di quello che sarebbe diventato il “Santa Croce”.
A noi manca una fondazione Onlus che raccolga gli uomini di buona volontà, le associazioni di categoria, il mondo del volontariato, ma che, partendo dal basso, sappia porre alla
Politica (ho scritto volutamente la “P” maiuscola) le esigenze, le necessità di un progetto che guardi alla Granda in grande e dove Cuneo possa continuare a essere quello che oggi è, cioè un centro d’eccellenza, riconosciuto a livello nazionale .
Credo che la funzione degli addetti ai lavori sia quella di contribuire a far crescere la consapevolezza del ruolo centrale della gente, della popolazione, in questo progetto.
La costituzione di una fondazione, prendendo ad esempio l’importante esperienza dei langaroli, di cui dovremmo fare tesoro, è un passo strategico fondamentale per dare continuità al lavoro che tavoli istituzionali e società civile vedono oggi impegnati a svolgere.
La necessità assoluta di procedere nel progetto “nuovo ospedale della Granda “ che preveda un’integrazione e faccia sistema con gli altri nosocomi presenti in provincia sarebbe un esempio di intelligenza gestionale e di efficacia sanitaria.
Gli ostacoli possono venire dal mondo della politica, dalle “lobby”, e, purtroppo, anche da quello degli operatori sanitari, molti dei quali ancora troppo in una posizione di difesa, puntati su un’autoreferenza capace solo di soddisfare uno splendido isolamento, nella quale l’autocompiacimento non servirà ad aiutare a risolvere al meglio i problemi della salute della nostra gente nel prossimo futuro.
Nuovo ospedale di Cuneo: ecco tre suggestioni
Le riflessioni e le proposte di Claudio Novali, primario di chirurgia vascolare al “Santa Croce”