“Lemandorle” suona canta e fa ballare

Il braidese Marco Lombardo con Gianluca Servetti ha costruito intorno a sé un progetto artistico molto apprezzato nel panorama nazionale (anche da Marco Mengoni)

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Anche per telefono, in una giornata den­sa di appuntamenti per la promozione del suo primo album, Marco “Leman­dorle” Lombar­do condivide risate profonde e lar­ghe che coinvolgono chi lo ascolta e allo stesso tempo proteggono lui che parla.
Sa di essere già arrivato dove molti tra quanti aspirano a vivere di musica arriveranno mai e allo stesso tempo è consapevole che rimane un pezzo di strada da fare per conquistare definitivamente il proprio spazio. Non di meno, però, è chiaro da dove sia partito: Bra.
Se infatti, il nome d’arte, “Le­man­dorle”, è un o­maggio alla sua terra d’origine, la Sicilia, oltre che una parola dal suono che coccola l’orecchio e dalla grafia che gratifica l’occhio, è sotto la Zizzola che Marco Lombardo ha passato buona parte dei suoi primi 38 anni.
Ed è sempre a Bra che ha conosciuto Gianluca Servetti, un tassello fondamentale del progetto de “Leman­dorle” sia in studio che sul pal­co, dove si occupa delle basi e fa il dj mentre Marco canta.
Ed è ancora sot­to la Zizzola che torna quando gli impegni glielo permettono. La parola ora va direttamente a Marco “Leman­dorle” Lom­bar­do.
La musica è da sempre al centro della tua vita. A un certo punto hai deciso di non scriverne oppure organizzarla, ma di farla. Come è avvenuto?
«È stato un passaggio naturale: circa cinque anni fa ho comprato un Mac per imparare a comporre musica. Mi sono chiuso in casa per mesi a studiare “software” di produzione musicale elettronica e da lì ho iniziato».
Al primo brano, “Le ragazze,” già sono arrivati i passaggi sulle radio nazionali. Bravura, fortuna, caso o cosa?
«La grande verità è che l’unica cosa che conta è la canzone. Che piaccia alle persone giuste. Ero nessuno e sono ancora nessuno adesso, ho inviato il pezzo a indirizzi e-mail generici, sen­za avere riferimenti specifici. Quan­do ho composto “Le ra­gazze” avevo la percezione che potesse piacere. L’ho mandata a Gianluca (Servetti, ndr), il quale ha confermato la mia impressione e ab­biamo iniziato a lavorarci in­sieme. Poi abbiamo trovato “Inri” che ci fa da “management” e che ci ha permesso di arrivare a “Sony music”».
Un disco è un ottimo motivo per suonare dal vivo. Che rapporto hai con il palco?
«Mi trovo bene sul palco. È un momento catartico. Passi tanto tempo in casa, in studio a lavorare e poi hai quel momento di libertà, di condivisione, per stare insieme a delle persone che ap­prezzano la tua musica»
Quando scrivi un pezzo parti da mu­si­ca o testo?
«Quasi sempre dal­la musica. Pri­ma di tutto è testare un “mood”, una storia a livello musicale. Attraverso quello ries­co poi a creare un mondo a livello testuale. I pezzi vengono messi insieme seguendo una strada tracciata dalla musica».
L’aspetto più bello di questo anno e mezzo di concerti?
«La cosa più bella è stata girare tutta l’Italia e ritrovare persone che cantano le tue canzoni, dalla provincia di Avellino al profondo nord-est. “Spotify” ha dato la possibilità di raggiungere chiunque capillarmente. Per noi è stato fondamentale, come aiuta anche molto il passaggio ulteriore delle radio nazionali».
Cantando in in­glese potrebbe crescere a di­smi­­sura il pubblico di “Leman­dorle?
«Mi piacerebbe produrre musica per gente che canta in inglese, però cantare io in inglese no: non sarei credibile e non risulterei autentico, perché scriverei in una lingua in cui non sto vivendo. Già scrivere canzoni ti porta a un distacco dalla realtà; farlo addirittura in un’altra lingua aumenta ancora di più i gradi di separazione».
Hai buone sensazioni per il disco fresco di uscita?
«Alla fine l’unico momento in cui ero sicuro che un pezzo po­tesse “spaccare” è stato con il pri­mo, “Le ragazze”. Dopo e­mergono insicurezze diffuse, perché più ottieni dei risultati, più senti forte il timore di non saperti ripetere la volta successiva. Capita che, mentre scrivi un brano, tu abbia la percezione che sia qualcosa di clamoroso e poi non succeda nulla.
Di­pende da tante cose: la fortuna, il momento giusto e altri fattori fuori dal tuo controllo».
Chiudiamo così: aspirazioni e i­spirazioni di “Lemandorle”?
«L’aspirazione è raggiungere il più vasto pubblico possibile, cercando di rimanere il più u­mili e autentici possibile. L’i­spirazione arriva dalla quotidianità, e allo stesso tempo dalla voglia di scappare da essa e di fantasticare. E poi da tanta ma­linconia».