Saranno quattro anni il prossimo giovedì 14 febbraio: quel giorno del 2015, a Montecarlo, Michele Ferrero concluse la propria esistenza terrena.
L’imponente partecipazione popolare alle esequie organizzate ad Alba fu la testimonianza diretta e spontanea su chi fosse quell’uomo che, con la propria genialità, è stato fra i principali creatori del benessere che ha iniziato a baciare questa terra dopo i secoli della “malora”.
Fu un industriale di successo, ideatore di prodotti “iconici” riconosciuti come tali, ma
soprattutto gustati, da milioni, sarebbe meglio dire miliardi, di persone in ogni angolo del pianeta.
Fu un imprenditore capace, come pochi suoi colleghi, di pensare al sociale e di “restituire” alla propria terra quanto questa, attraverso il lavoro e la dedizione dei residenti e la bontà dei prodotti coltivati, ha contribuito a fargli raccogliere.
Fu un capitano d’azienda in grado di anticipare i tempi, quindi non per seguire una “moda”, abbinando al processo produttivo una spasmodica ricerca della qualità in cui era già compreso, in anni nei quali nessuno vi pensava, il rispetto per l’ambiente.
Fu, ultimo ma non meno importante, un uomo che, accanto alle tante soddisfazioni di una vita dedicata al lavoro, con la consorte Maria Franca dovette affrontare la prova più atroce e intollerabile per dei genitori: sopravvivere a un figlio, evento affrontabile soltanto se in possesso di una grandissima fede, com’era nel caso di Michele Ferrero.
Oggi la “Ferrero”, sotto la guida del figlio Giovanni, è protesa verso i mercati mondiali dov’è già presente, ma che hanno ancora ottime possibilità di crescita esponenziale.
Adattata ai tempi assai mutati, è la strategia avviata da Michele Ferrero quando, giovanissimo, a 32 anni, dovette prendere in mano le redini dell’azienda a seguito delle scomparse prima del padre, Pietro, e poi dello zio, Giovanni. Aprire uno stabilimento in Germania negli anni Cinquanta: quante e quali altre aziende italiane avrebbero pensato di farlo quando era stata appena cominciata la ricostruzione postbellica del Paese?
E, subito dopo, fare lo stesso nell’ultrasciovinista Francia: ci voleva un bel coraggio, ma anche una capacità di visione prospettica che il signor Michele dimostrò fin dagli inizi e conservò sino alla fine dei suoi giorni.
La “Ferrero” conquistò così il titolo di prima al mondo come reputazione: uno storico evento che certificò quanto fosse azzeccata la volontà di Michele Ferrero di soddisfare le esigenze e il gusto della virtuale “signora Valeria”, la consumatrice-tipo omologa della “casalinga di
Voghera” di Alberto Arbasino, abbinata alla ferma determinazione nel “pensare sempre diverso dagli altri”, cioè dai concorrenti.
Un altro suo “segreto” era quello di presentarsi in incognito nei punti vendita, chiedendo opinioni ai clienti e ai commercianti.
Del resto lo aveva annunciato già nel 1962, prima che nascesse la “Nutella”, ad Alfredo Pigna, in una splendida intervista, evento rarissimo anche nei decenni successivi, uscita sulla “Domenica del corriere”: «A noi interessa soprattutto seguire il prodotto in tutte le sue fasi: quando è frazionato nel greggio, quando prende corpo, quando esce dagli stabilimenti, quando entra nelle case dove verrà emesso il giudizio. Un giudizio che può fare la nostra fortuna o la nostra rovina. Ecco perché noi vogliamo subito conoscerlo, attraverso i rivenditori. Il loro parere, i loro consigli sono preziosissimi, per noi».
In quell’occasione confidò il suo sogno più grande: «Che si accorgano che vivo di lavoro e che mi facciano cavaliere del lavoro».
Un altro obiettivo raggiunto.
Michele Ferrero non c’è più, ma è sempre presente
Il 14 febbraio di 4 anni fa il geniale imprenditore albese concluse la propria esistenza terrena