Da “portatori di handicap” a “diversamente abili”. La terminologia per definire chi è nato o si ritrova in condizioni psicofisiche diverse dai “normodotati” è cambiata, si è fatta più “politically correct”, ma ancora non coglie nel segno.
Per farlo si dovrebbe parlare, che si tratti di disabili e no, di “capacità disponibili”. E la differenza, per entrambi, andrebbe tracciata tra chi fa buon uso di quanto ha a disposizione e chi no.
Se il mondo fosse suddiviso così, Nicola Dutto farebbe parte della prima categoria. Ne avrebbe avuto i requisiti nella sua prima vita, fino all’incidente del 2010 in moto che lo ha costretto a un futuro in carrozzina e li avrebbe anche ora, da pilota paraplegico, primo centauro a continuare a correre le stesse gare che disputava da normodotato, ottenendo risultati di grande rilievo, capace di “regalarsi” anche la partecipazione, primo pilota paraplegico di sempre, alla “Dakar” 2019, un sogno nel cassetto di chiunque abbia la passione per le corse fuoristrada.
Ecco come Nicola Dutto parla della sua vita, in sella e no.
Come è cambiato il suo modo di prepararsi alle gare dopo l’incidente?
«A livello di preparazione fisica vera e propria non è cambiata: alleno sempre forza e resistenza, in piscina, in palestra con l’handbike. Da portatore di handicap, però, ho dovuto lavorare tanto sull’equilibrio, perché quando hai una lesione midollare la percezione dell’equilibrio si modifica e devi riacquistare la posizione del baricentro con esercizi specifici, sia in palestra che sulla moto».
Ha preso in considerazione subito l’ipotesi di tornare in sella?
«Ci sono arrivato per gradi. L’ultima cosa a cui pensavo dopo l’incidente era di tornare in moto. L’ho fatto dopo due anni, quando avevo riacquistato la forma fisica e la padronanza dell’equilibrio».
Ci ha messo poco a ritrovare il “feeling” con la moto?
«È stata la stessa sensazione che si prova risalendo in bici dopo molto tempo. Cambiano alcune cose, ma il grosso è sempre quello. È stato bello, ma per arrivare al livello a cui sono giunto ora c’è voluto tempo: sei anni circa e tanto allenamento. Mi sono mosso per piccoli obiettivi: nel 2012 ho corso una “Baja” in Europa, la più importante la “Aragon” in Spagna, e poi ci siamo detti: “Ripercorriamo le tappe fatte da normodotato”, quindi negli anni ho corso tutta la coppa del mondo “Baja”, sono stato negli Stati Uniti e in Messico per il mondiale “Desert race”. Poi abbiamo pensato alla ciliegina sulla torta, la “Dakar” (ne parliamo nel box sopra)».
L’incidente l’ha cambiata più nel fisico o nello spirito?
«Entrambi, nell’animo più positivamente. Ora mi lascio scorrere i problemi non importanti. Dopo un incidente del genere capisci ciò per cui lottare e arrabbiarti, per il resto stai sereno. Fisicamente mi ha cambiato, perché ho perso l’uso delle gambe, ma in fin dei conti sono solo un po’ più basso rispetto a prima. Io, da disabile, ho diritto alle rampe per l’accesso ai locali o al parcheggio per disabili, per il resto penso sia giusto che mi guadagni tutto, mi rimbocchi le maniche e vada avanti perseguendo i miei obiettivi. Alla fine sono tornato a fare quello che facevo prima. Certo, se un tempo mi avessero detto: “Non puoi più appoggiare i piedi per terra e vai in moto”, avrei replicato: “Impossibile!”. Ma in moto siamo abituati a guardare sempre avanti e io non ho fatto altro che trasportare quello che facevo in sella alla moto nella vita di tutti i giorni e viceversa. Prima dell’incidente la mia più grande paura era rimanere sulla sedia a rotelle, quando mi è successo ho dovuto affrontare la situazione e spero di averlo fatto nel migliore dei modi».
Si allena in handbike: non ha mani pensato di farlo diventare uno sport praticato a livelli agonistici come Alex Zanardi?
«No, perché l’ho sempre vista come una pratica di allenamento. Mi ero interessato allo sci, invece, perché, per certi versi, sci e moto sono molto simili. Nel 2012 avevo proposto al
Comitato paralimpico di mettermi a disposizione un istruttore per qualche mese, al fine di valutare le mie potenzialità sul monosci, nell’ottica di una possibile partecipazione alle gare, però non se n’è mai fatto nulla».
Una vita in sella alla propria vita
Il cuneese Nicola Dutto, in carrozzina dal 2010, si conferma ottimo pilota e grande persona