Venerdì 10 gennaio 2020, nell’Auditorium Foro Boario della sua Cuneo, Franco Olivero presenta dal vivo il nuovo album MusicaParte, una delle uscite discografiche più apprezzate della seconda metà del 2019, come dimostra anche l’apprezzamento della Stampa, che ha lanciato in anteprima nazionale il nuovo video In Loving Memory: https://video.lastampa.it/spettacoli/dal-classic-jazz-alla-world-music-il-nuovo-videoclip-di-franco-olivero-in-loving-memory/107673/107684. Insieme al flautista e sassofonista cuneese ci saranno musicisti di eccezionale esperienza e bravura come Paolo Franciscone (batteria), Alberto Bellavia (pianoforte) e Francesco Bertone(contrabbasso), insieme ad amici e ospiti.
“MusicaParte è un progetto di “composizione pura” che prescinde da stimoli, commissioni, commistioni di altra natura. Il precedente Zona Franca nasceva invece da una riorganizzazione strutturata e ragionata in funzione di ascolto puramente musicale di frammenti, appunti, idee che avevano fornito l’impronta sonora di contesti artistici (teatro, documentari, danza, arti visive) extramusicali. Il titolo dice molto: la p maiuscola, posta quasi al centro, fa da spartiacque e al contempo da trait d’union tra i due sostantivi affini e coerenti quali musica e arte. Poi si possono trovare altri significati: Parte come codificazione, organizzazione, scrittura, ma anche Partenza: per situazioni, luoghi della mente, immagini o suggestioni che possono fluire durante l’ascolto. Se però detto, oltre che letto, può dare l’idea di una musica a parte, cioè che va al di la di generi definiti; che sta in un territorio appartato”. Quando Franco Olivero riflette sulla sua musica, sulla provenienza della composizione e sui risvolti nati da un titolo quale MusicaParte, il risultato è sempre stimolante. MusicaParte è pubblicato da UltraSound Records come il precedente Zona Franca, il lavoro del 2016 che aveva rilanciato l’affascinante eclettismo dell’autore.
MusicaParte è un lavoro di composizione “pura”, come sottolinea Olivero, nel quale le idee non provengono dagli ambiti extramusicali a lui consueti ma dalla forza di una composizione rimessa al centro e rielaborata con il suo consueto spirito da “esploratore musicale”. La varietà e la ricchezza sprigionate dalle 12 tracce derivano dalla curiosità dell’autore, che soprattutto in questo disco sottolinea la posizione raggiunta in un cammino di ricerca multistilistica: “Queste inflessioni stilistiche (jazz, world, musica colta) sono frutto di un percorso: di ascolto, di ricerca, di adesione e certamente di studio. Questo è l’aspetto che forma o che, in modo più autoreferenziato, mi ha formato: poi però, dopo questa tappa, si tratta di rendere compatto quello che secondo me deve essere l’obbiettivo di ogni artista, non solo musicista: la ricerca di una propria identità e peculiarità espressiva. Immagazzinato un bagaglio dovrebbe succedersi una nuova tappa verso una meta più ambiziosa. Inizia dunque una nuova fase del percorso che definirei di crescita: un viaggio dentro se stessi, all’interno delle proprie istanze interiori, una redistribuzione coerente e, appunto, compatta di questo bagaglio. Ci vuole coraggio e spregiudicatezza ad abbattere senza pudore quelle barriere che spesso lo stesso mercato impone. Indebolirsi significa questo: aderire a dei modelli senza chiedere nulla a se stessi, ricalcare schemi, imitare”.
Jazz elegante e sofisticato, talvolta ai confini della fusion, world music come opportunità espressiva a volte anche immaginaria, slegata dal vincolo delle radici, musica colta come bagaglio di studio e di consapevolezza della tradizione. MusicaParte si nutre principalmente di queste tre grandi aree, ma non rifiuta ulteriori suggestioni, ad esempio nella riscrittura di Greensleves e L’amour est mort: “Greensleves è a mio avviso una di quelle melodie magiche che travalicano lo spazio (il luogo in nel quale è nata, cioè l’Inghilterra di Enrico VIII) e il tempo, dunque gli stili. Coltrane stesso l’aveva “trattata” nel suo periodo modale quasi come se fosse un raga indiano. Uno di quei temi che mi “scappano” da sotto le dita quasi tutte le volte che prendo uno strumento in mano. L’amour est mort di Jacques Brel – uno dei pochi cantautori, chansonnier per essere più corretti, che ascolto – non vuole essere altro che un modesto e forse irriverente omaggio alla componente musicale che contraddistingue la grandezza della sua poetica”.