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Visita indimenticabile nella Siria dove noi abbiamo le radici

Il Paese sta per uscire da dieci anni di guerra. In sei millenni vi si sono succedute decine di civiltà che hanno influenzato in modo decisivo la nostra storia

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Il dolore per ciò che è accaduto, la gioia di vivere e la voglia di rinascita

Chi scrive queste note si è aggregato al gruppo di viaggiatori che si sono affidati a “SolId” Onlus per recarsi in Siria a cavallo fra il 2019 e il 2020. è stata un’esperienza indimenticabile, costellata da momenti unici e irripetibili e da visite straordinarie come quella al sito archeologico di Bosra, dove la piccola comitiva (dieci italiani e un francese, ritratti a lato, tranne il compagno di viaggio transalpino, con la guida siriana, ndr) ha costituito il primo nucleo di europei occidentali autorizzati a met­tervi piede dopo dieci anni, grazie a un permesso speciale concesso dal Governo, reso possibile an­­­che dalla lunga, concreta attività di solidarietà internazionale condotta dall’Onlus.
Se luoghi e rapporti istituzionali sono fissati nella mente, ancora di più lo sono gli incontri avuti con la gente comune, quella incontrata per strada o nello sconfinato “souk” damasceno, quella con la quale è stato possibile interagire la notte di ca­podanno. Colpiscono, di quel popolo massacrato da dieci anni di conflitto armato arrivato da fuori (oltre ai profughi e alle immani distruzioni materiali, 600 mila morti su una popolazione di 23 milioni di abitanti; in Italia, nella seconda guerra mondiale, morirono in 450.000 su circa 40 milioni di residenti: il confronto dice molto), la resilienza, la voglia di vivere, il senso dell’ospitalità e, soprattutto, l’orgoglio di essere siriani.
Un piccolo esempio che chiarisce: nel “souk” del­­la capitale, acquistando “souvenir” per un va­lore di 7.500 lire siriane (meno di 8 euro), viene respinta senza “se” e senza “ma” l’offerta di la­sciare al negoziante, quale mancia, le 500 lire di resto. E poi la gioia tangibile di migliaia e migliaia di persone la notte di San Silvestro, in una Da­masco con luminarie natalizie accese in ogni an­golo della città, i sorrisi delle famiglie e specialmente dei bambini, molti dei quali non sanno cosa significhi la parola “pace”, visto che il loro Paese è aggredito dalla peggiore feccia al mondo dall’inizio del 2011 e che hanno visto con i propri occhi cose inenarrabili. La stessa capitale (sopra: la celebre “Spada di Da­masco”, fra i monumenti simbolo della città, ndr) è stata in parte occupata dai tagliagole che, dalle loro postazioni, lanciavano micidiali missili soprattutto sui quartieri cristiani dell’antica cittadella, per colpire più civili innocenti possibile.

Un sogno “impossibile” che si è concretizzato; un’avventura che, a differenza di quanti molti potrebbero pensare, non ha comportato rischi particolari (ho sempre detto di non avere l’indole del “ka­mikaze” e neppure quel­­la del­l’aspirante eroe), ma ha da­to un’infinità di spunti per vivere esperienze davvero uniche e immagazzinare per sempre, nel­la mente e nel cuore, sensazioni in­descrivibili e ingredienti utili ad arricchire la propria cultura.
Tale è stato il viaggio di “turismo solidale” in Siria che ho po­­tuto effettuare grazie a “So­lId” Onlus, con no­ve amici italiani e uno francese conosciuti solo al momento dell’imbarco a Fiumicino per Beirut, ma su­bito rivelatisi persone con cui sarebbe stato bel­lo, com’è sta­to, verificare se fos­se il­lu­sione o verità ciò che tutti noi pensavamo del Pae­se di Bashar al-As­sad (il contrario di quanto diffuso per due lustri dai nostri mass me­dia). Ora siamo ancora più convinti e de­terminati a fare, ciascuno di noi nel proprio àmbito, un po’ di salutare controinformazione.
Abbiamo vissuto, nei giorni a ca­vallo di capodanno, in una Damasco in cui splendevano migliaia di alberi di Natale, un clima di fe­sta gioiosa, incredibile se si pensa a ciò che ha passato quel popolo, o forse comprensibile proprio per questo, vi­­sto che la guerra (mai stata guerra civile) è agli sgoccioli, Do­nald Trump permettendo.
Abbiamo ballato e brindato al­l’arrivo del 2020 in un locale tipico della città vecchia, colmo di persone “normali” che anche nell’eleganza dei vestiti, specie le donne, desideravano lasciarsi alle spalle gli incubi ricorrenti vissuti così a lungo.
Detto per inciso, abbiamo an­che gustato cibi, su tutti un de­lizioso pane appena uscito dal forno, e bevande, tra cui un vi­no libanese eccellente, che non ci hanno fatto rimpiangere le specialità italiane.
Il contatto diretto con le persone, in albergo, passeggiando nel­­­l­a cittadella antica e facendo compere nell’affollatissimo “souk” damasceno, ci ha consentito di verificare la gentilezza e il senso dell’ospitalità ge­nuina di un popolo dalla di­gnità sorprendente e che, nei fatti, ha
di­mostrato di sapere non arrendersi mai. Il paragone che si può fare è con i vietnamiti che sconfissero gli Usa, ma qui la guerra è stata ancor più feroce.
Abbiamo avuto incontri con personalità, non solo istituzionali, di notevole spessore, a cui accenno in queste pagine.
Abbiamo cercato di fare un po­chino di bene portando regali e un’offerta in denaro per le ospiti dell’orfanotrofio femminile del monastero greco ortodosso di Sednaya, poche ore dopo a­ver provato il brivido di sentire, a Maalula, recitare da un sacerdote il “Padre no­stro” in aramaico, la lingua di Gesù che non era l’ebraico antico usato da Mel Gibson nel suo film sul­la Passione girato a Ma­tera.
E abbiamo scoperto che fra Maa­lula e il capoluogo della Lu­cania vi sono molti punti in
co­mune, a partire dalle grotte abitate fin dalla preistoria.
Dal punto di vista del turismo vero e proprio i troppo po­chi giorni di questo viaggio ci han­no comunque dato l’occasione di verificare come la Siria resti uno scrigno di tesori, frutto delle trentaquattro civiltà che si sono succedute dal 4.500 a­vanti Cristo, e di capire perché fino al 2010 vi giungesse una dozzina di milioni di vi­sitatori l’anno. Malgrado la criminale attitudine dei tagliagole a di­struggere e a depredare siti e re­perti ar­cheologici, la ricchezza del Pae­se sotto tale punto di vi­sta è ancora immensa e il 2020 sarà l’anno della ri­presa graduale dei flussi turistici.
Noi, in questo àmbito, abbiamo potuto ammirare la possenza del “krak”dei Cavalieri
(i Tem­plari) ed essere i primi occidentali a rimettere piede, dall’inizio della guerra, nel gigantesco sito archeologico di Bosra.
Qui, tra moltissimo altro, si tro­va il teatro romano in basalto ne­ro, con colonne di pietra bianca di Giordania sul palcoscenico, capace di 15.000 po­sti e con un’acustica sorprendente, dove in tempo di pace diresse anche Riccardo Muti.
Ma nelle nostre menti resterà an­che la visione dei quartieri di Damasco distrutti, della città di Homs della quale poco o nulla si è salvato (aveva 800.000 abitanti, ora sono meno di centomila), dei paesi rasi al suolo at­traversati, con un groppo in gola, recandoci a Maa­lula, al “krak” e a Bosra. E, più ancora, non potremo di­menticare i racconti dei testimoni diretti, non di intermediari, da un lato, del­le violenze i­numane compiute dalle belve jihadiste (non riferibili su queste pagine) che i no­stri giornali e commentatori chiamavano “ri­belli democratici” e, dall’altro, delle gesta di au­tentico e­roismo dei troppi gio­vani morti per difendere il proprio Paese da un’aggressione esterna dalla potenza inusitata. Anche per questo è un al­tro mo­mento scolpito nei nostri cuori l’omaggio reso al sacrario dei martiri siriani, ove in genere gli stranieri non so­no ammessi, nella spianata alla pe­­riferia di
Da­masco, sotto l’altura su cui sor­ge il palazzo presidenziale, utilizzato per i momenti e gli incontri ufficiali e istituzionali, mentre la famiglia Assad vi­ve in un edificio privato, nella
zo­na residenziale della capitale.
Vi ho firmato il libro degli ospiti e ne sono orgogliosissimo.
La Siria e i siriani ti entrano nel cuore, oggi più che mai.

Il ministro del turismo: «divulgate ciò che avete constatato di persona»

Il principale momento istituzionale del viaggio di capodanno si è svolto presso il Ministero del turismo della Repubblica araba socialista di Siria, la cui sede è a fianco del Museo nazionale di Damasco. Il ministro, Rami Radwan Martini, con un passato professionale e imprenditoriale di albergatore in Aleppo, ha ac­colto la delegazione italiana con grande cordialità e si è intrattenuto con i suoi o­spiti per molto più tempo di quanto programmato.
Si è parlato delle prospettive, adesso che la pace è all’orizzonte, di un comparto che fino al 2010 rappresentava una fondamentale risorsa per la Siria, Paese in cui si recavano non meno di 12 milioni di visitatori stranieri l’anno.
In questo àmbito il “turismo solidale” promosso da “SolId” Onlus gode dell’apprezzamento e del pieno appoggio del Governo di Bashar al-Assad. Nel­l’oc­casione il Ministro ha confermato che l’istituzione da lui guidata offrirà il proprio patrocinio ufficiale ai prossimi viaggi organizzati dall’Italia (nel 2020 saranno cinque, il primo dei quali è programmato dal 23 al 30 aprile), il che significa la conferma della certezza di ottenere i visti d’ingresso senza nessun intoppo e di raggiungere luoghi finora preclusi alle visite, com’è successo il 4 gennaio (data storica, nel suo piccolo) a Bosra.
Con il ministro Martini si è parlato anche della situazione della guerra e di quella politica (il giorno prima era stato assassinato il generale iraniano Qasem Sou­leimani). L’esponente del Go­verno siriano ha esortato i suoi interlocutori a divulgare, al rientro, ciò che hanno constatato sulla realtà del suo Paese.
E ha chiuso con una battuta scherzosa (ma veritiera): «Fate sa­­pere anche quanto sono belle le donne siriane!».