Spesso, pensando ai grandi personaggi della storia, immaginiamo eroi granitici e quasi divini, oppure mefistofeliche creature senza emozioni. Eppure anche i più efferati fra loro (banditi, terroristi o dittatori) erano umani e avevano relazioni, sentimenti, passioni.
Francesco Bennardo, professore di storia e filosofia di Alba, ce lo ricorda nel suo ultimo saggio, “Il diavolo e l’artista-Le passioni artistiche dei giovani Mussolini, Stalin, Hitler” (“Argot edizioni”, 2019), che ripercorre le carriere letterarie e pittoriche dei tre grandi tiranni del Novecento. Un mondo affascinante e perlopiù sconosciuto che l’autore esplora con rigore e gusto per l’aneddoto. Per conoscere più da vicino il contenuto del libro abbiamo intervistato Francesco Bennardo, a beneficio dei lettori di “IDEA”.
Partiamo da “Il diavolo e l’artista”. Si tratta di un saggio assai originale, a metà strada fra storia politica e culturale. Com’è nata l’idea?
«L’idea è nata all’inizio del 2018, quando con l’associazione “Asso di coppe” di Alba decidemmo di organizzare una “kermesse” culturale intitolata “Il tempo è un’illusione?”. Io feci notare che la domanda ha anche un sinistro rovescio della medaglia, cioè “Cosa facciamo quando ci rendiamo conto che il tempo è una disillusione?”. Da qui l’idea di indire un convegno sul modo in cui i tre dittatori reagirono al fatto che, con ogni probabilità, non sarebbero divenuti degli artisti celebri e apprezzati. In seguito, visto la curiosità dimostrata dai partecipanti e considerato, al contrario, lo scarsissimo interesse che la storiografia tradizionale ha avuto per questo aspetto biografico delle tre personalità, ho pensato che scrivere un saggio avrebbe potuto interessare e incuriosire molti lettori».
Le tre personalità al centro dello studio, ossia Benito Mussolini, Iosif Stalin e Adolf Hitler, sono noti quasi solo per il loro ruolo (ambiguo se non nefasto) nella storia del ’900. Hanno, tuttavia, un lato più artistico…
«Mussolini, personalità inquieta e iperattiva fin dalla tenera età, era un vulcano pieno di idee, di soggetti, di trame per romanzi, saggi e tragedie teatrali che però non riuscì quasi mai a completare. Nel 1910 scrisse il “feuilleton” intitolato “Claudia Particella” basato sulla storia vera, ma romanzata, della cortigiana che fu amante del vescovo-principe di Trento, Carlo Emanuele Madruzzo. Stalin, costretto controvoglia a studiare presso il Seminario ortodosso di Tbilisi, fu un ottimo studente e un promettentissimo poeta: le sue liriche, scritte quando aveva 17 anni, non parlavano di politica, ma esaltavano la natura, i paesaggi e i cittadini della sua amata Georgia. Più noto è il periodo acquarellista di Hitler, che dei tre era il più convinto del proprio talento. Io però nel libro ho dato molto spazio anche ai dipinti a olio e ai disegni tecnici».
Com’è possibile che un animo totalitario e disumano come quello dei tre protagonisti abbia spazio anche per un lato artistico e sensibile?
«In realtà non credo che ci sia contraddizione tra crudeltà politica e sensibilità artistica. L’idea che il tiranno sia un monolite incapace di vedere al di fuori del suo mondo è un concetto molto occidentale, anzi direi “neolatino” (e difatti i tre dittatori neolatini più celebri, ovvero Franco, Videla e Pinochet, non avevano nessun interesse culturale extrapolitico). Forse quest’idea deriva dalla tripartizione della società medievale in “oratores”, “bellatores” e “lavorates”. Ma in oriente, Russia e Cina in particolare, era considerato normale che un uomo di potere fosse anche un intellettuale (persino Ivan il terribile scrisse versi e melodie, e Mao era un poeta forse migliore di Stalin). Imporre i propri canoni artistici diventa un modo per imporre la propria visione del mondo: lo ha capito Jonathan Gottschall, secondo cui Hitler fu un sanguinario dittatore non malgrado il suo amore per l’arte, ma a causa, almeno in parte, di esso».
Quale aspetto ti ha colpito di più durante le tue ricerche?
«Soprattutto due aspetti. Il primo: tutti e tre, nonostante abbiano impresso un’imprescindibile rivoluzione al loro Paese e al mondo, si espressero in uno stile nettamente conservatore, rifacendosi a modelli antichi di decenni se non di secoli (Carolina Invernizio e i romanzi anticlericali di Giuseppe Garibaldi per Mussolini, l’epica medievale e la letteratura ottocentesca georgiana per Stalin, il Rinascimento tedesco e il “Biedermeier” per Hitler). Il secondo: tutti e tre, una volta andati al potere, evitarono di pubblicizzare quell’“imbarazzante” passato artistico e furono spesso impietosi nei confronti dei loro lavori giovanili».
Tre uscite previste tra 2020 e 2021
Oltre alla produzione in àmbito saggistico, l’autore ha dato alle stampe anche due raccolte di poesie
Francesco Bennardo è nato ad Agrigento nel 1987. Nel 2013, dopo la laurea in studi storici conseguita all’Università di Palermo, ha cominciato l’attività di docente di storia e filosofia nei licei. Dal dicembre del 2015 vive ad Alba, dove insegna. Nel 2015 ha pubblicato la sua prima silloge di poesie, “Invettive apotropaiche” (“Cfr edizioni”). Nel 2016 ha pubblicato il saggio “La massoneria siciliana nel XIX secolo” (“Antipodes edizioni”). Nel 2017 è toccato di nuovo alla poesia, con la raccolta “Colpi di grazia” (“Aletti editore”).
“Il diavolo e l’artista- Le passioni artistiche dei giovani Mussolini, Stalin, Hitler” è uscito nel 2019 per “Argot edizioni”.
Ha appena terminato un saggio sulla svolta reazionaria che il Regno delle due Sicilie ebbe dopo il 1848 che vedrà la luce a fine 2020. Per il 2021, invece, sono previste due uscite: la prima è un libro sulla politica estera del Regno d’Italia dall’unità fino alla prima guerra mondiale; la seconda è un manuale che traccia la storia del nostro Paese dal 1821 fino ai nostri giorni.