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«Benché sano, ho scelto di isolarmi dalla mia famiglia»

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IDEA n.13 del 2 aprile 2020

L’infermiere braidese Francesco Ghibaudo è stato assegnato al “covid hospital” di Saluzzo, nel reparto di terapia intensiva

In prima linea c’è contro il covid-19 anche Francesco Ghibaudo: infermiere di Bra, operativo a Savigliano ma chiamato, per questa emergenza sanitaria in corso al “covid hospital” di Saluzzo. Nella città della Zizzola, conosciuto da tutti come “Checco”, da anni è il responsabile sanitario del Bra calcio.

«Sono stato chiamato per il reparto di rianimazione allestita a Saluzzo», racconta Francesco al telefono «per pazienti risultati positivi, nel blocco operatorio del nosocomio saluzzese. Sono un infermiere del blocco operatorio di Savigliano e lavoro per l’Asl Cn1, ma in questa emergenza sto supportando il personale di rianimazione. La situazione su Saluzzo è che i posti Covid sono occupati, i malati necessitano di un’assistenza particolare e purtroppo ci sono stati alcuni decessi.

Accessi al Pronto soccorso ce ne sono; non tutti hanno bisogno di un supporto ventilatorio, ma alcuni sì. Questo virus attacca le vie respiratorie, c’è chi ha bisogno di essere supportato con l’ossigenoterapia, chi ha bisogno di una ventilazione meccanica. Come personale Covid, siamo super protetti per il fatto di essere in prima linea.

Nell’Asl Cn1 ci siamo noi e Mondovì come “covid hospital”, per alleggerire il lavoro dell’ospedale di Savigliano». «La professione che ho scelto di fare è quella di curare i malati, tutti i malati. In questa emergenza sanitaria, da infermiere, non mi sarei mai aspettato di lavorare in prima linea su una pandemia mondiale che ha colpito anche il nostro territorio», commenta ancora Ghibaudo. «Seguiamo le indicazioni del l’Unità di crisi, quelle dell’Asl di riferimento e quelle nazionali», prosegue nel suo racconto il braidese.

«A livello professionale è tutto molto formativo, ma pericoloso perché ovviamente si è a contatto ogni giorno con pazienti positivi e al minimo errore ci potrebbe essere il contagio e di conseguenza potresti contaminare chi hai attorno. Ho scelto di auto isolarmi da mia moglie, dai miei figli, per ragioni di sicurezza e come da disposizioni date al personale sanitario, an che se io sto bene». «Al momento io e miei colleghi non siamo ancora stati sottoposti al tampone», aggiunge ancora l’infermiere.

«A livello emotivo è una situazione molto forte, abbastanza straziante, perché ti rapporti con un malato che è da solo e lontano dai famigliari, i quali possono informarsi solo al telefono. Tutto questo mi tocca molto, devo essere sincero. Adesso sembra che la curva dei contagi si stia stabilizzando, le misure prese stanno portando gli effetti sperati. Il problema del coronavirus è che ha un tasso di contagiosità altissimo.

L’apertura di Verduno è una risorsa importante e molto valida, non ci sarà solo terapia intensiva ma sarà un supporto a chi esce dalla terapia intensiva, perché si tratta di malati che guariscono in un mese, un mese e mezzo. E non saranno dimessi a domicilio, ma dimessi in un reparto che li monitora fino alla guarigione».

Da responsabile sanitario del Bra calcio, non poteva mancare una considerazione su questo aspetto. «Il calcio in questo momento è in disparte, l’emergenza è sociale e umana. Come Bra calcio, in tempi non sospetti, avevamo bloccato l’attività sportiva anche se il decreto non era ancora vigore. Ci saremmo potuti allenare a porte chiuse per qualche giorno in più.

Confrontandomi con il presidente Giacomo Germanetti, il direttore generale Pietro Sartori, il direttore sportivo Paolo Scalzi e mister Fabrizio Daidola, abbiamo anticipato i tempi e abbiamo deciso di fermarci, così come l’attività giovanile. Giacomo che è un presidente molto attento, ha fatto sanificare tutti i locali del nostro complesso sportivo.

I giocatori della Prima squadra, grazie al preparatore Andrea Pasquariello, cercano di seguire le tabelle di lavoro e ovviamente rispettando i decreti vigenti. Non ho idea sulla ripresa della Serie D, ma ci sarà ancora da aspettare.

Arriverà il picco e la curva sarà in discesa, però ci vorrà almeno un mese per poter pensare di riprendere. Bisognerà aspettare le decisioni della Lega nazionale dilettanti, ma credo che la soluzione migliore sia quella di far giocare a porte chiuse».