Home Articoli Rivista Idea Cina e Italia due famiglie per Damilano

Cina e Italia due famiglie per Damilano

0
238

IDEA n.13 del 2 aprile 2020

Dalla “sua” Saluzzo l’allenatore di marcia si racconta in attesa di riabbracciare gli atleti della nazionale asiatica e i due figli, uno dei quali è in prima linea come medico a Milano

Italiano, con la Cina e i cinesi nel cuore. Il saluzzese Sandro Damilano, allenatore di marcia della Nazionale cinese, è toccato in maniera particolare da questa drammatica emergenza sanitaria. Il dilagare del coronavirus Covid-19 ha infatti prima sconvolto la Cina e ora sta mettendo in ginocchio l’Italia. Le sue due famiglie. Sandro, un vero e proprio “guru” della marcia internazionale, capace in carriera di accompagnare i suoi atleti a 11 medaglie olimpiche, oltre a una miriade di titoli mondiali e continentali, dalla sua Saluzzo vive questa situazione con preoccupazione (anche per un figlio medico impegnato in prima linea a Milano), un po’ di nostalgia della normalità e, soprattutto, tanta voglia di allenare i suoi ragazzi, seppure a distanza.

Sandro Damilano, cosa pensa di quello che sta accadendo?
«Ovviamente c’è molta preoccupazione, anche perché i contagi continuano a essere consistenti, in particolare nella nostra provincia, che inizialmente sembrava essere stata risparmiata».

Come trascorre queste difficili giornate di quarantena?
«Sono in contatto quotidiano con i miei atleti, che sono tornati in Cina. Da qualche giorno, poi, a trent’anni dall’ultima volta, ho ripreso in mano la chitarra e mi sono rimesso a suonare. Stare tutto il giorno seduto sul divano a guardare la televisione o a leggere il giornale non fa per me. Effettuare qualche esercizio fisico ogni giorno fa bene a tutti: si trovano un sacco di consigli sul web e, di conseguenza, ci si può arrangiare anche stando a casa. Io, per esempio, abito al quarto piano e almeno due o tre volte al giorno faccio le scale: per il fisico è meglio di una passeggiata di due o tre chilometri».

Le Olimpiadi sono state rinviate al 2021. Decisione giusta?
«Certo, è la scelta più logica. La speranza, comunque, è che per il periodo in cui si sarebbero dovute svolgere le Olimpiadi questa situazione sia superata. A prescindere da ciò, considerate le problematiche attuali, i Giochi olimpici non si potevano proprio fare. Ribadisco, decisione corretta».

Ciò cosa significa per gli atleti? Qual è il loro stato d’animo alla luce del rinvio?
«Gli atleti non possono che essere dispiaciuti per lo slittamento delle Olimpiadi, perché avevano focalizzato la loro preparazione su questo grande appuntamento e questa decisione, evidentemente, cambia tutto.

Ci si prepara a lungo per la rassegna olimpica. Nello specifico degli atleti che seguo, dispiace soprattutto perché erano preparatissimi quest’anno: era forse la stagione in cui marciavano più forte, ma quando succedono cose di questo genere non si può far altro che accettare, resettare tutto e ripartire pensando all’appuntamento del 2021, quando i Giochi si disputeranno.

In particolare, penso a Liu Hong e Qieyang Shenjie, le ragazze che hanno conquistato il primo e il secondo posto ai Mondiali di Doha, lo scorso settembre: come atlete non sono più giovanissime e un anno in più cambia di molto le cose. Devi allenarti, fare sacrifici e faticare per altri dodici mesi. Non solo fisicamente, ma anche mentalmente è molto difficile riuscirci.

D’altro canto ci sono un paio di giovani che avranno più speranze di poter partecipare alle Olimpiadi: questa è l’altra faccia della medaglia. Mi auguro che da settembre si possa ricominciare senza problemi la preparazione: io, tra l’altro, dovrò ridiscutere il mio contratto, perché sarebbe scaduto con la fine delle Olimpiadi, ma penso che da questo punto di vista non ci saranno problemi».

Lei che conosce bene entrambi i Paesi, come giudica le rispettive modalità di gestione dell’emergenza sanitaria?
«Senza dubbio il metodo utilizzato in Cina ha prodotto risultati, visto che in due mesi e mezzo il Paese è riuscito a uscire da una situazione che inizialmente era anche peggiore rispetto a quella italiana. È chiaro che, considerata la tipologia di governo, per i cinesi è stato relativamente più facile prendere determinate decisioni: sono state impiegate decine di migliaia di militari per verificare il rispetto delle restrizioni anti contagio. Inoltre, sono stati completamente vietati gli spostamenti: non era nemmeno consentito uscire per fare provviste, poiché la spesa veniva consegnata a casa da volontari. Tuttavia, per diversi motivi, quello proposto in Cina è un sistema che difficilmente sarebbe attuabile nel nostro Stato».

Qual è la cosa che le manca di più e non vede l’ora di rifare?
«Il contatto quotidiano con gli atleti che seguo: dopo tanti anni, sono ormai la mia seconda famiglia. E poi, naturalmente, la vicinanza ai miei figli: uno è medico ed è a Milano, in prima linea, e mi racconta di situazioni terribili. L’altro, che è a Saluzzo, tra un paio di settimane dovrebbe diventare papà. Mi manca anche, semplicemente, il ritrovarmi con gli amici per chiacchierare e fare due risate. Insomma, mi manca la normalità, come del resto manca a tutti».


  L’EPOPEA PER IL RIENTRO A CASA DEI MARCIATORI 

Sono 8 i marciatori (4 donne e altrettanti uomini) della nazionale cinese allenati da Sandro Damilano, tecnico specializzato nella marcia originario della provincia di cuneo. Fino agli inizi di marzo gli atleti asiatici sono rimasti in Italia, a Saluzzo, la città di Damilano, per seguire la preparazione in vista delle olimpiadi che si sarebbero dovute svolgere in Giappone dal 24 luglio al 9 agosto di quest’anno.

L’emergenza coronavirus, con il conseguente rinvio al 2021 dei Giochi olimpici, ha portato i nazionali cinesi a far ritorno a casa. «loro avrebbero preferito restare qui e continuare ad allenarsi», spiega Damilano, «anche perché, quando sono partiti, le notizie dalla Cina non erano quelle rassicuranti di oggi e, al contempo, qui in Italia la grossa emergenza non era ancora scoppiata. Ho preso io la decisione: la situazione stava peggiorando di giorno in giorno e non me la sono sentita di tenerli qui, con il rischio che potessero ammalarsi e, magari, essere ricoverati senza nemmeno comprendere una parola di italiano.

Il viaggio per farli rientrare in patria è stato un’avventura. i primi due tentativi non sono andati a buon fine, con i voli annullati all’ultimo. Ce l’hanno fatta prendendo un volo per Addisabeba, impiegando 56 ore per arrivare in Cina. La federazione, molto organizzata, ha allestito delle camere di un albergo a Qinhuangdao, una città sul mare davanti alla costa giapponese: lì sono in quarantena per 14 giorni, ma hanno a disposizione “tapis roulant” e attrezzi per potersi allenare e muovere un po’».

I contatti con il tecnico saluzzese sono quotidiani, ma le difficoltà a portare avanti il lavoro sono molteplici: «continuano ad allenarsi, ma ovviamente in hotel non è la stessa cosa. Hanno perso la condizione che avevano qui», prosegue Sandro Damilano. «Inoltre, quando finiranno la quarantena e potranno tornare ad allenarsi all’aria aperta, per loro sarà difficile farlo nella città in cui si trovano, perché c’è molto vento e le condizioni non sono ottimali. Dovrebbero spostarsi a pechino, ma in quel caso sarebbero di nuovo costretti a rimanere in quarantena. Credo di non poterli rivedere almeno fino all’estate».