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La vitamina D «un’arma in più contro il virus»

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IDEA n.13 del 2 aprile 2020

L’endocrinologo Giancarlo Isaia, insieme ad Enzo Medico, ha messo in evidenza gli effetti positivi del composto organico

«Lo sto dicendo a tutti i miei amici: prendete vitamina D. In farmacia un flaconcino costa 4 euro e dura un mese». La raccomandazione arriva dal professor Giancarlo Isaia, specialista endocrinologo, più volte relatore nelle conferenze dedicate a salute e invecchiamento organizzate e ospitate dalla Fondazione Ferrero, che ha deciso di diffondere un’informazione assai utile per l’emergenza coronavirus.

«Ho aspettato due o tre giorni prima di far circolare il documento, perché magari il fatto di occuparmi di questa materia da tanto tempo poteva condizionarmi, rendermi meno obiettivo. Ma alla fine, considerato che assumere vitamina D comunque non fa male, anzi, abbiamo scelto di far circolare le informazioni. Anche perché in medicina il confronto di idee è sempre importante».

Quindi Professore, lei sostiene che la vitamina D potrebbe avere un ruolo prezioso nella prevenzione ma anche nella cura dei casi di coronavirus?
«Mi baso sui dati raccolti in cinque anni su un centinaio di lavori. Prima di tutto la vitamina D è un antimicrobico che ha valore accertato su altri virus simili come Sars, Ebola o Dengue. E poi bisogna dire che un normale livello di vitamina D rappresenta sempre un’arma formidabile perché previene le malattie croniche degli anziani. Sono suggestioni che ci fanno pensare che anche nel caso del coronavirus la vitamina D possa avere un ruolo. Qui nessuno ha certezze. Ma intanto sappiamo che l’Italia è il paese con maggior prevalenza di ipovitaminosi in Europa».

E come si spiega questo dato?
«Una volta eravamo pescatori e contadini e lavoravamo all’aperto, oggi viviamo in città e lavoriamo soprattutto in ufficio. In un periodo di cento anni, fisiologicamente breve, il calo di vitamina D è stato improvviso».

Dovremmo stare di più al sole, ma allora perché i nordeuropei non soffrono di questa ipovitaminosi?
«Perché sapendo quale fosse il problema, si sono adeguati culturalmente. Penso agli studi sul rachitismo dei bambini lavoratori nelle miniere di Galles e Scozia di fine Ottocento. Negli anni hanno imparato l’importanza di portare i bimbi al mare, prescrivendo inoltre agli stessi l’olio di fegato di merluzzo, una “bomba” di vitamina D».

Tempo fa, quell’integratore temutissimo dai bambini si usava anche in Italia…
«Ma all’estero sono andati oltre. A Stoccolma ho trovato vitamina D nei prodotti più disparati: formaggi, latte, addirittura la birra…».

Torniamo al nostro virus: la vitamina funzionerebbe anche come cura?
«Vi anticipo il succo di un lavoro che non è stato ancora pubblicato, effettuato su alcuni pazienti malati di covid-19 ricoverati in un ospedale torinese. Avevano un bassissimo livello di vitamina D ed erano tutti anziani. Sono migliorati. Solo uno era giovane, tra l’altro un medico, che nel frattempo è stato dimesso».

Avere un livello di ipovitaminosi significa condurre una vita poco naturale?
«Basta dire che in questo periodo dell’anno siamo tutti a rischio di ipovitaminosi perché sta terminando l’effetto benefico del sole che abbiamo preso in estate. Ma bastano 30 milligrammi al giorno di vitamina D in un anziano per stare bene, altrimenti servono una dieta equilibrata e un po’ di tempo all’aria aperta».

Sa che in questo periodo di tensioni diffuse, a mettere l’accento sull’importanza delle vitamine, si rischia?
«Ma qui ci sono evidenze. Ci sono dati che hanno spinto più di un ente a condividere l’esigenza di diffondere queste notizie. La vitamina D non ha controindicazioni. È efficacissima contro la sarcopenia (che determina in età avanzata l’afflosciarsi dei muscoli) o contro l’osteoporosi. Nel caso del coronavirus mancano le conferme ufficiali, ma tutto lascia credere che arriveranno ».

Il virus in Italia prolifera perché abbiamo tanti anziani e molti di loro sono poco sani?
«In Italia gli “over 60” sono numerosi ma a portarsi dietro patologie varie è il 25% di loro, un dato simile a quello di altri paesi, solo che qui salgono le cifre proprio perché ci sono più anziani. Che, per esempio, dal 2002 a oggi sono aumentati di circa 3 milioni. Un problema sociale. Sono persone più vulnerabili e quindi il coronavirus per loro può anche essere fatale. Da qui una mia idea: forse avremmo dovuto isolare subito gli anziani e presidiare le loro abitazioni, lasciando andare a lavorare i più giovani».

Insomma, più vitamina D per tutti?
«C’è chi l’ha definita “elisir di giovinezza”. In effetti, sappiamo quanto sia efficace conto varie patologie, dall’Alzheimer al tumore della prostata. Quel 25% di popolazione dovrebbe tenerne conto».


  ALCUNE CONSIDERAZIONI EPIDEMIOLOGICHE

L’Italia è uno dei paesi europei (insieme a Spagna e Grecia) con maggiore prevalenza di ipovitaminosi D. Nel nord Europa la prevalenza è minore per l’antica consuetudine di addizionare cibi di largo consumo con vitamina D.

Inoltre, in Italia, è stato dimostrato che il 76% delle donne anziane presenta marcate carenze di vitamina d, senza peraltro significative differenze regionali. La ridotta incidenza di covid-19 nei bambini potrebbe essere attribuita alla minore prevalenza di ipovitaminosi D, conseguente alle campagne di prevenzione del rachitismo attivate in tutto il mondo dalla fine dell’ottocento.

L’insorgenza di un focolaio in Piemonte in un convento di suore di clausura, popolazione a più elevato rischio di ipovitaminosi D, costituisce un altro elemento suggestivo sul possibile ruolo protettivo della vitamina d sulle infezioni virali.

La distribuzione geografica della pandemia sembra potersi individuare maggiormente nei paesi situati al di sopra del tropico del cancro, con relativa salvaguardia, almeno per il momento, di quelli subtropicali.

BaNNER
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