IDEA n.13 del 2 aprile 2020
Ci vuol fegato ad aver cuore
Gentile allegro chirurgo, son passati sei mesi da quando mi sono separato, dopo nemmeno 5 anni di matrimonio (ma molti di fidanzamento) e, se devo essere sincero, l’unica cosa che mi manca della vita da coniugato è mio suocero.
Sarà, forse, perché io sono un po’ più grande di sua figlia e lui un padre abbastanza giovane per questi tempi (aveva 25 anni quando è nata la primogenita e futura mia prima moglie), quindi tra di noi la differenza d’età è abbastanza limitata. Di certo non è legato al fatto che lui sia un simpaticone, tutt’altro.
È una persona che in genere, induce in soggezione chi non lo conosce bene e anche con chi gli è più vicino è quasi mai accomodante, almeno all’apparenza. Decisamente orso, piuttosto colto e riservato, ma buono come il pane. Un generoso che finge di essere burbero insomma, nonché uomo di grandi principi morali.
Per me, cresciuto senza punti di riferimento famigliari forti, è stato una specie di padre e mi rendo conto (adesso molto più che prima) di dovergli molto. Quando ho capito che con sua figlia il rapporto era naufragato e irrecuperabile, credo di essermi comportato nel modo migliore: non ho cercato scorciatoie, ho affrontato la questione con mia moglie arrivando alla decisione di separarci. Una decisione mia, che lei non ha condiviso e per la quale soffre ancora. Sofferenza che il padre non mi ha perdonato e non mi perdonerà mai, per come lo conosco.
Mi dispiace, perché a me farebbe davvero piacere continuare ad avere non dico un rapporto familiare, ma almeno una frequentazione che mi permettesse di confrontarmi ancora con una persona che stimo, che mi ha insegnato tanto e a cui voglio bene.
Marco (Torino)
RISPONDE L’ALLEGRO CHIRURGO
Gentile Marco, quel che scrive è proprio bizzarro, anche se non saprei dire quanto inusuale. Per come ha messo giù la questione lei, mi verrebbe da dire che tra le ragioni per le quali ha sposato sua moglie ci sia proprio il “pacchetto famigliare”, ovvero la consapevolezza che anche il padre di sua moglie avrebbe fatto parte della sua vita.
Non intendo dire, ovviamente, che lei abbia portato avanti una relazione per disporre di una scusa buona per frequentare il proprio futuro suocero. Ritengo sia un discorso un po’ più ampio e quasi di certo “preterintenzionale”.
Penso che, a ben vedere, la stragrande maggioranza delle persone sposi (o conviva, se vogliamo) l’idea della vita che immagina di poter condurre attraverso quella relazione.
C’è, per esempio, chi persegue l’immagine della famigliola da “Mulino bianco” e cerca quindi una persona con cui trasformarla in un film. Non di rado, infatti, ci si innamora anche della vita che si pensa di poter vivere grazie alla persona che si ha accanto. Spesso lo si fa con buone intenzioni e in certi casi va anche a finir bene.
Quando l’idea di realizzazione di coppia si discosta troppo dalla natura di uno dei due, però, iniziano i guai. Penso a uomini, poi dichiaratisi omosessuali, che si sono sposati e hanno messo al mondo figli, in ossequio al l’immagine convenzionale che si erano fatti di quella che doveva essere la propria vita.
Ci sono uomini piacenti che sposano donne insignificanti da ogni punto di vista, ma anche per nulla ingombranti, così da garantire loro un luogo dove tornare dopo aver dato dimostrazione di essere un maschio perennemente pronto a fiondarsi su una preda e a compiacersene. Sono due categorie tra mille (che, beninteso, valgono tanto per gli uomini quanto per le donne).
Tra le mille, c’è anche quella di chi accetta di diventare marito per sentirsi finalmente figlio. Una massima zen dice: «Quando l’allievo è pronto, il maestro appare». Però nulla si sa su come il maestro scompaia. Ora si è capito che, ogni tanto, avviene tramite un divorzio.