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Covid-19 in Romania: la testimonianza di una studentessa di Peveragno, prossima alla laurea in Medicina

I dati aggiornati a ieri, mercoledì 8 aprile, contavano 334 nuovi casi di contagio confermati e 209 decessi, con un totale di 3629 test eseguiti e 162 persone in terapia intensiva.

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In questi giorni di emergenza vi abbiamo raccontato le testimonianze di molti giovani residenti in provincia di Cuneo che, per motivi di lavoro o di studio, si trovano ad affrontare la lotta al Coronavirus fuori dall’Italia.

Oggi vogliamo proporvi uno sguardo sull’est Europa, aprendo una finestra sulla situazione in Romania, dove i dati aggiornati a ieri, mercoledì 8 aprile, contavano 334 nuovi casi di contagio confermati e 209 decessi, con un totale di 3629 test eseguiti e 162 persone in terapia intensiva.

Abbiamo contattato telefonicamente Ezster Dho Nagy, studentessa di Medicina, che, dopo aver frequentato il Liceo Scientifico a Cuneo, ha trascorso gli anni dell’Università tra Peveragno e la Romania, dove si trova in attesa della discussione della tesi di laurea.

Come state affrontando il Covid-19 in Romania?

«Anche qui è stato messo in atto il lockdown, io mi ritengo fortunata perché prima che entrassero in vigore queste disposizioni, mi sono trasferita in un paesino  molto isolato, insieme ai miei nonni: sono a una trentina di chilometri dalla città,  vivo a Târgu Mures, nel cuore della Transilvania» – spiga Ezster – «In Romania, vista la situazione italiana hanno agito tempestivamente. Nella seconda metà di febbraio hanno chiesto alle persone che hanno viaggiato nelle zone rosse (all’epoca Cina, Corea e Italia) di restare per un periodo di 14 giorni isolati in casa evitando contatti/possibili contagi. A inizio marzo hanno richiesto collaborazione alla popolazione attraverso ogni sorta di media, giornali, tv, Internet per invitare tutti a evitare contatti ravvicinati, coprirsi il naso mentre si tossisce/starnutisce, lavarsi spesso le mani».

Quali sono le limitazioni imposte?

«Vista l’emergenza vissuta nella maggior parte dei paesi occidentali  molti rumeni hanno deciso di tornare in Romania e purtroppo molti non hanno seguito le raccomandazioni per l’isolamento.  Dopo i primi due decessi, avvenuti il 17 marzo  scorso, in Romania è stata emessa la prima ordinanza militare. Questo ha limitato la libera circolazione e l’apertura degli esercizi commerciali, hanno chiuso ovviamente ristoranti, pub e bar. Alla prima sono seguite altre sette, attualmente sono chiuse tutte le attività che non sono considerate di prima necessità, perfino i mercati locali degli agricoltori sono stati vietati. Nei supermercati possono  andare anche più persone, ma devono mantenere  2 metri di distanza. Gli over 65 possono uscire di casa dalle 11 alle 13,  solo se strettamente necessario e dalle 20 alle 21 se hanno animali da compagnia. Per chi non ha possibilità di uscire, ci sono molti volontari che cercano di portare la spesa a domicilio. L’attività sportiva è consentita, come in Italia, solo individualmente e nei pressi della propria abitazione».

Le aziende sono riuscite a organizzare attività in smart working?

«Chi non può lavorare da casa ha  ricevuto dei documenti dai datori di lavoro, che devono essere presentati alle Forze dell’Ordine su richiesta,  i  controlli sono severi e le sanzioni, in caso di infrazioni, variano dai 100 a oltre 1000 euro. Chiunque esca da casa deve avere con sé un atto di identità e un certificato compilato, firmato e datato indicando il percorso e la motivazione: lavoro, spesa, assistenza medica urgente, assistenza anziani/malati, svolgimento di attività agricole, donazione di sangue, volontariato…».

Come si sono riorganizzate le Università?

«Le facoltà di Medicina sono state le prime a chiudere,  il capo del dipartimento per le situazioni di urgenza, Raed  Arafat è un medico e quindi  ha capito il pericolo che comportava frequentare i reparti per attività didattiche e dopo circa due settimane di chiusura sono iniziate le lezioni online, il supporto tecnico è stato efficiente. In  Romania gli studenti dal quarto anno in poi frequentano i reparti ogni giorno per 3 o 4 ore al giorno, ora le attività pratiche sono diventate teoriche, ma interattive grazie a video e filmati. Anche la scuola dell’obbligo procede in modalità online ma con più difficoltà».

In Italia per fronteggiare l’emergenza è stata aperta la possibilità di lavorare anche agli specializzandi di medicina, anche da voi?

«La carenza di personale qua è stata risolta con due manovre:  ogni specializzando si è reso disponibile per l’emergenza, a prescindere dalla specialistica e anche gli studenti di medicina del  dal quarto al sesto anno sono stati coinvolti, per ora su base volontaria. Purtroppo non ci sono letti e materiale sufficiente, i  medici e gli infermieri non hanno strumenti di protezione  per  gestire i casi sospetti in sicurezza, quindi molti sono stati esposti al virus. Le direzioni dei comuni hanno messo a disposizioni delle camere per il personale medico in prima linea, in modo da evitare che le loro famiglie corrano rischi».

Come ha reagito la popolazione al lockdown e al virus?

«I più anziani paragonano questo stato di emergenza alla Seconda Guerra Mondiale, inizialmente la maggior parte delle persone non ha capito la gravità della situazione, fortunatamente Arafat, ex Ministro della Salute, ha preso decisioni tempestive e le misure di sicurezza prese sono state fatte rispettare grazie anche all’intervento militare.

La popolazione ora inizia ad affrontare la lotta al Covid-19 in maniera diversa, ma questa non vale purtroppo per la minoranza dei Rom,  che non segue alcuna raccomandazione, non a caso  molti degli attuali positivi provengono da queste comunità».

C’è difficoltà nel reperire mascherine e guanti? L’utilizzo è obbligatorio?

«Arafat, seguendo le direttive del WHO (l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ndr) inizialmente ne aveva raccomandato l’utilizzo solo per i il personale medico, malati e immunosoppressi, ora viste le nuove direttive indossare la mascherina è diventato obbligatorio in molte zone del paese. Il problema è che non è facile trovare guanti e mascherine, non c’è disponibilità per tutta la popolazione, nemmeno di quelle chirurgiche. Inoltre  i prezzi  di questi dispositivi sono passati da 0. 5 lei a 8-10 lei (il leu romeno è corrisponde circa a 0.21 euro ndr)».

Quando sei stata l’ultima volta in Italia?

«Lo scorso febbraio ero tornata dopo la sessione esami. Il 17 sono tornata in Romania, dove ho fatto 14 giorni di  isolamento, visto che nel corso del viaggio ho dovuto transitare in Lombardia. Quando hanno annullato i voli, nella seconda metà di marzo, nella mia città vivevano 180 studenti italiani, come gruppo hanno contattato la Farnesina e sono riusciti a rientrare. Altri come me sono rimasti qui in Romania, ora anche se volessi, non potrei tornare senza un’ autorizzazione speciale. Inizialmente è stato difficile accettare la situazione, una pandemia ora che sto per laurearmi non ci voleva,  per molti giorni ho temuto per la vita della mia famiglia e i miei amici che vivono in Itala,  poi ho reagito:  tra quattro mesi sarò un dottore e dovrò agire. Quindi per ora faccio quel che ci hanno insegnato: analizzo la situazione e valuto la soluzione migliore, per ora tutto ciò che posso fare è stare a casa, studiare e finire gli ultimi esami. Se sarò chiamata ad aiutare in prima linea andrò e farò il possibile».