Il panorama delle Langhe aiuta, è una via di fuga per gli occhi e, come ammette l’artista Valerio Berruti, in ultima analisi «è un privilegio ». Soprattutto di questi tempi. Berruti, lei non ha mai nascosto il suo solido legame con il territorio.
Possiamo dire che la sua a te comincia proprio da questa premessa?
«Sono molto legato alle mie origiil mondo, quindi da persone che non avrebbero usufruito del servizio ospedaliero di Verduno. Solo per metà sono state donazioni sul territorio, dai residenti. Molti hanno donato dal resto d’Italia e dall’estero: dalla Francia, dalla Spagna, dagli Stati Uniti, dalla Nuova zelanda… La quota base della donazione era 300 euro, ma in tanti sono andati oltre. Due nonni che hanno regalato i miei disegni alle nipotine hanno addirittura donato una somma di 11 mila euro».
A proposito, i soggetti delle sue opere sono spesso bambini: per quale ragione?
«Ho sempre rappresentato l’infanzia, anche prima di avere figli. Mi piace specchiarmi in ciò che
fanno i bambini, inoltre rappresentano la mia chiave d’accesso alla sfera dell’emotività. E mi
permettono di far passare il mio messaggio con immediatezza. Tutti noi siamo stati bambini».
Molti creativi, in questa situazione di reclusione forzata e di isolamento, spiegano quanto in realtà sia difficile trovare ispirazione. Che ne pensa?
«Forse il mio punto di vista è privilegiato, perché vivo in una casa bellissima dove posso camminare molto anche senza uscire. E posso ammirare le campagne circostanti. Non provo frustrazione se non per l’impossibilità di abbracciare gli amici (ho disegnato spesso bimbi che si abbracciano, in effetti), ma è una questione soggettiva. Per me è addirittura diventata un’occasione per pensare di più. Prima viaggiavo molto, correvo da una mostra all’altra e mi fermavo raramente a casa con la mia famiglia, ora ho più tempo per ogni cosa. Ma capisco che abitando in spazi molto stretti, come alcuni miei amici a Milano per esempio, sia più difficile essere creativi».
Insomma, le Langhe custodiscono il segreto della sua arte?
«Sono fondamentali per me. Ho sempre pensato di dover restituire alla mia terra ciò che da
lei ho ricevuto tanto generosamente in questi anni. E la scelta che avevo fatto all’inizio restando qui, a contatto con la natura, in questo contesto mi sta ripagando abbondantemente».
Produrre centinaia e centinaia di disegni in pochi giorni: come è stato possibile?
«È il lavoro che ho sempre fatto. Altre volte ho realizzato disegni in serie che sono diventati frame di un video e non sono stati esposti. Mi piace, considero tutto parte di un unicum.
Sculture, affreschi o dipinti rappresentano quello che sento. Non importa come, ma cosa si
vuole dire. Io lo faccio in diverse forme e da sempre mi considero un eclettico, sono contento
della mia multidisciplinarità».
Anche perché questa predisposizione le ha permesso di mettersi al servizio della comunità:
un valore aggiunto?
«Non è casuale. Prima dell’iniziativa dei disegni dedicati ai donatori e in favore della Fondazione nuovo ospedale Alba Bra, per cinque anni ho sostenuto la realizzazione della struttura di Verduno realizzando le etichette delle bottiglie magnum per l’Enologica di Alba. Un aiuto per le ultime stanze dell’ospedale che dovevano essere completate. Non ci ho mai pensato troppo, l’ho sempre fatto con il cuore».
Come crede che uscirà il mondo dall’emergenza del virus?
«Temo che tutto tornerà al punto di partenza. La gente ha una memoria storica troppo
breve. Siamo stati sempre invischiati in strategie globali che non potevamo cambiare, convinti
che produrre e consumare fosse l’unica via possibile. Il clima è sempre stato mille volte
più letale del coronavirus. E altri virus avevano colpito solo Africa o Cina, ma non ci avevamo
fatto troppo caso, immersi nel nostro egoismo globale».
Non ci sarà quindi una ricostruzione come dopo l’ultima guerra?
«Mio nonno mi raccontava la vera guerra ed era tutta un’altra cosa. Qui c’è il risultato di una
serie di nostre incapacità. Come la mancanza di posti letto per i tagli alla sanità. Tutto torna».
C’è qualcosa che nella prospettiva del dopo-virus la preoccupa maggiormente?
«Il fatto che, dopo, tutto sarà giustificato e le libertà di prima ce le saremo giocate. Un po’ come è accaduto dopo l’11 settembre».