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Guido Crosetto: «Serve un piano per programmare il nuovo lavoro»

«Non bastano i virologi. Le decisioni vanno prese da politici di buonsenso. E le limitazioni le accetto in democrazia se chi comanda non dimostra di procedere a tentoni»

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La ricetta del buonsenso è sempre azzeccata. Specialmente di questi tempi, caratterizzati da numeri che si rincorrono e si correggono. Sono gli effetti collaterali del coronavirus, come se non bastassero le conseguenze dirette del contagio. Sulla scena del dibattito che imperversa immaginando un futuro sostenibile, Guido Cro­setto è tra quelli che vorrebbero più buonsenso.

Crosetto, come uscirà l’Italia da questo blocco dovuto al coronavirus? Meglio o peggio di prima?
«Difficile dirlo, ma il virus ac­cresce il virus, nel senso che se si perderà troppo tempo le conseguenze dal punto di vista dell’economia saranno disastrose».

Che cosa si può fare per limitare, almeno, i danni?
«Bisognerebbe delineare subito un piano di riapertura, immaginare già adesso una strategia da adottare al momento giusto».

Ma è possibile stabilire subito le modalità di riapertura?
«Non potranno certo essere mi­sure uguali per tutti. Bi­sognerà valutare. Ad esempio la Ba­silicata pochi giorni fa non ha registrato nuovi casi di persone contagiate. Certo, sarà una regione con un decimo di abitanti rispetto al Piemonte. Ma nella gestione del virus, possiamo continuare a considerarla come la Lombardia? No. E questo vale anche per le attività lavorative. Le misure di sicurezza di un supermercato sono diverse rispetto a quelle di un negozietto».

Finora hanno deciso tutto i virologi.
«Hanno le competenze per va­lutare il quadro sanitario, ma serve che siano affiancati da qualcuno che con buonsenso sappia concordare un piano di ripresa».

Il virologo Giovanni Rezza, di­chiarandosi sfavorevole alla ri­presa del campionato di calcio, ha detto che spetta comunque alla politica decidere…
«Quello del calcio è ancora un altro discorso, ma ci sono alcuni lavori che potrebbero essere consentiti già adesso. Mi chiedo per esempio se non si possa permettere a quei ristoranti che stanno consegnando pasti a domicilio, di ricevere anche ordinazioni per l’asporto. Con le dovute precauzioni, facendo entrare un cliente alla volta. Ma si potrebbe fare, per una graduale rimessa in moto».

Che ne pensa degli interventi di liquidità annunciati dal Go­verno?
«Purtroppo mi risulta che non siano arrivati a nessuno, neanche quelli destinati alla cassa integrazione già anticipati dalle aziende. Ripartire così è difficile, non sono state sospese neanche le sanzioni».

E si tratta comunque di interventi a debito…
«Certo, ma non si vedono in ogni caso. Siamo passati da tre-quattro settimane a due mesi. E c’è ancora confusione. Alla fine come sempre le banche daranno soldi a chi non ne ha veramente bisogno».

Ma perché accade?
«Perché non capiscono come funziona una piccola impresa, nessuno di loro ne ha la minima idea».

Il ruolo della politica non dovrebbe essere fondamentale in queste situazioni?
«Mi auguro che ci sia un segnale. Perché il problema è che le limitazioni alla privacy e in generale alla libertà, in democrazia, io le posso accettare per il bene comune. Me le faccio andare bene. Ma solo finché non vedo che chi comanda sta annaspando e procede a tentoni. Vale anche per la gestione delle regioni. All’inizio andava bene, poi leggi che i positivi sono stati spesso abbandonati a loro stessi…­».

Lei è esperto di trasporti: che fu­turo hanno?
«Questione delicata e strettamente collegata al lavoro, è qui che bisogna decidere subito. Bisognerebbe confermare dove possibile lo smart working e trovare soluzioni. Come un passaporto sanitario, tipo Corea o Cina».

E la scuola?
«Lo smart workin qui funziona, ma non tutti possono utilizzarlo. Se almeno avessimo tamponi sicuri in attesa di un vaccino…».