Ho letto in questi giorni, sui giornali, varie opinioni espresse da tecnici, medici, partiti politici ecc. in merito al futuro dell’Ospedale di Verduno. Provo quindi a dire la mia come Sindaco di Verduno e, poi, come coordinatore provinciale di Italia Viva che vorrebbe contribuire a rimettere al più presto in moto il Paese, impiegando al meglio le risorse pubbliche disponibili.
Quando sono stata eletta, a fine maggio 2019, mi sono trovata ad affrontare l’apertura dell’ospedale che era data per imminente.
La mia preoccupazione era – ed e’ – quella di integrare una struttura importante come il nuovo ospedale con un bel borgo storico, a vocazione enogastronomica e turistica.
A settembre 2019 – come è noto – c’è stata la fine lavori con la simbolica consegna del cantiere, a seguire i consueti 60 gg per le ‘finiture’ e quindi l’indicazione, da parte del Presidente Cirio, della data dell’ apertura per giugno 2020.
C’eravamo quasi, quindi, al tanto agognato traguardo di avere un ospedale all’avanguardia, alla cui realizzazione anche molti privati, autonomamente o tramite la Fondazione Nuovo Ospedale, hanno destinato cospicue donazioni proprio perché nascesse un centro di eccellenza sanitaria a beneficio di un’area troppo a lungo trascurata dalla politica romana e non solo, nonostante i numerosi parlamentari e consiglieri regionali espressi dal territorio negli ultimi vent’anni (basti pensare alla penalizzazione subita nelle infrastrutture, di cui la vicenda dell’autostrada AT/CN è l’emblema, con mille promesse e un bel nulla di fatto in una zona – la nostra – con un tessuto industriale e turistico importantissimo per tutto il Piemonte).
Abbiamo quindi buon diritto oggi di vedere l’apertura di una struttura ospedaliera di prim’ordine, capace di attrarre utenti anche da fuori provincia e regione, a maggior ragione se pensiamo ai privati che a questo scopo hanno generosamente donato e ai non pochi soldi pubblici spesi in questi anni per l’ospedale.
In estrema sintesi quindi una più che motivata aspirazione del territorio ad avere un centro all’avanguardia della sanità piemontese, un ospedale modello, quale immaginato e voluto fin dagli anni ‘90 dai fratelli Franco e Carlo Miroglio.
Volendo guardare poi all’ospedale anche in una prospettiva “verdunese” – cioè del paese che oggi rappresento e che, ovviamente, intende partecipare al dibattito sulla struttura che sorge nel proprio territorio e per la quale esercita una serie di competenze – vi è da ricordate che, nonostante il percorso difficile di questi oltre vent’anni di progetti e lavori, accompagnati anche da polemiche, e nonostante il fatto che il paese sia rimasto giocoforza sospeso e condizionato più di ogni altro dall’attesa della apertura del prospettato polo di eccellenza, la comunità verdunese ha accolto con favore l’idea che l’Ospedale potesse essere utile in questa fase 1 di emergenza indotta dall’epidemia covid-19, se gli ospedali di Alba e Bra non avessero avuto posti sufficienti.
Per scelte sanitarie che non spetta a me discutere l’ospedale è stato quindi aperto, pur come ‘area’ emergenziale (la parte disponibile) e, oggi, ospita i pazienti covid in via di guarigione. Devo dire che ho trovato bellissimo, anche simbolicamente, che chi ha sofferto in questa improvvisa pandemia, possa “rivedere la luce” proprio qui, ammirando le nostre colline e il nostro campanile.
Ma ciò detto, credo che una struttura di eccellenza, già destinata ad aprire interamente fra un mese quale ospedale all’avanguardia atteso da oltre vent’anni, non possa tradire l’idea stessa per cui è nata, ha drenato risorse pubbliche, ha ricevuto donazioni e cioè sostituire, accorpandoli, gli ospedali di Alba e Bra.
Per cui, adesso che l’ospedale ha visto la luce (pur solo per una parte e in via emergenziale) mi auguro che il percorso si completi come previsto e promesso e che l’ospedale di Verduno – che porta il nome di Michele e Pietro Ferrero – diventi quell’importante centro per la comunità di un territorio troppo spesso dimenticato dalla politica.
Marta Giovannini