Sarà la qualità l’elemento forte da cui ripartire quando l’allarme coronavirus sarà rientrato e potremo ritornare alla (quasi) normalità. È questa la ricetta che, un po’ in tutti i settori dell’economia italiana, viene riconosciuta come fondamentale: le eccellenze ci consentiranno di voltare pagina e di ricominciare a crescere. E di qualità e di eccellenze si parla quando si incontra l’impegno di Deditus, l’associazione che coinvolge nove aziende produttrici di Barolo per valorizzare un vino che porta in dote secoli di lavorazioni e di sacrifici (“dedo” in latino significa appunto darsi).
Con Gianni Gagliardo, presidente dell’associazione nata a fine anni Novanta, abbiamo provato a comprendere quali scenari attendono il mondo del Barolo e da quali elementi si potrà ripartire, appunto, a crisi sanitaria terminata.
Gagliardo, partiamo dalle origini: che cos’è Deditus e perché è stata fondata?
«Deditus è innanzitutto un marchio che identifica una tipologia di produttore caratterizzato da un’identità precisa: quella del vignaiolo storico, rappresentante di una famiglia che nutre una dedizione alla vigna radicata nel tempo. In secondo luogo, la nostra associazione è condivisione di idee, progetti e iniziative tra produttori che hanno caratteristiche simili».
E le iniziative in questi anni non sono mancate…
«Siamo un gruppo coeso, che si muove ormai da tanti anni con proposte che si focalizzano sulla divulgazione delle peculiarità dei nostri vini. Per noi è prioritario farci conoscere a un pubblico sempre più ampio e mettere in mostra le grandi qualità del nostro prodotto. Ne abbiamo bisogno noi e ne ha bisogno il Barolo, che ha ancora molto da raccontare».
Qualità che è anche sinonimo di rigore nella produzione?
«Assolutamente sì. Non a caso, Deditus è un marchio collettivo, che porta in dote uno statuto preciso ed articolato. Possedere uno statuto significa poter contare su un documento che sancisce regole e requisiti fondamentali: nel nostro caso, l’essere azienda ad esclusiva conduzione famigliare, proprietaria di vigneti a conduzione diretta, con approccio sostenibile».
Spostandoci invece all’attualità, quali scenari si prospettano nel post-emergenza coronavirus?
«Il nostro settore è fortemente legato alla ristorazione, ora drasticamente frenata dalle misure contenitive previste dai decreti ministeriali. Il vero punto interrogativo sta nel capire che cosa accadrà dopo: saremo pronti a tornare a vivere in compagnia all’interno dei locali? Oppure il timore avuto in queste settimane ci spingerà a muoverci nell’incertezza ancora per qualche mese? Io sono dell’idea che nel medio periodo tutto, comunque, si normalizzerà e preferisco cercare gli aspetti positivi di questa situazione».
Quali, ad esempio?
«Non ho ancora la conferma dei dati, ma ho la percezione che restando a casa, la gente abbia iniziato ad apprezzare la buona bottiglia da accompagnare alla buona cucina, accelerando una tendenza che avevamo già evidenziato in parte prima della pandemia. Credo quindi che proprio dalle nuove abitudini del consumo privato possano arrivare notizie incoraggianti, che potrebbero rappresentare delle occasioni di crescita importante per il nostro settore anche dopo il coronavirus».
Quali saranno, invece, i punti di forza del Barolo su cui puntare per superare la crisi?
«La sua affidabilità, in primo luogo. Io dico sempre che chi acquista il Barolo non sbaglia mai. È un vino che dà sicurezza, sinonimo di assoluta garanzia. In momenti in cui anche i consumatori saranno più attenti alla spesa, il Barolo sarà la risposta ideale alla loro ricerca di qualità».
In ultimo, come si immagina la prima asta del Barolo dopo il coronavirus?
«È presto per dirlo. Abbiamo scelto di voltare pagina del tutto e di annullare l’edizione 2020 perché non avrebbe avuto senso organizzarla per i mesi autunnali, nel pieno della nuova vendemmia: la nostra è un’iniziativa primaverile ed è giusto che resti tale. L’appuntamento è quindi per i primi mesi del 2021: le prospettive per quest’anno erano ottime e sono certo che lo saranno anche nel prossimo».