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«Il successo? Dopo un inizio molto in salita»

Il patron dell’acqua Sant’Anna Alberto Bertone ripercorre la storia dell’azienda nata e cresciuta a Vinadio

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Da quello che ormai può essere definito come un manager di massimo livello ti aspetteresti risposte standardizzate, magari anche un po’ fredde e distaccate, tipiche di chi punta solo e soltanto ai risultati economici. Invece, quello di Alberto Bertone, amministratore delegato di Fonti di Vinadio, la società che produce l’acqua minerale Sant’An­na, è un racconto cal­do, genuino e, soprattutto, trasparente, proprio come quell’acqua che sgorga dai 2.000 metri delle sorgenti di Vinadio e che lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Alberto Bertone, cosa c’è dietro il marchio Sant’Anna?
«La storia di una famiglia di imprenditori edili che nel 1995, visto che le cose andavano piuttosto bene, decise di di­versificare la propria attività. Io avevo appena concluso un ma­ster di specializzazione a Mi­lano e desideravo avviare un progetto imprenditoriale nel settore alimentare».
Come siete arrivati alla sorgente di Vinadio?
«Dopo un lungo percorso. I­ni­zialmente ci venne proposta un’a­zienda che produceva pa­nettoni, successivamente una società di acque minerali. Le trattative, però, andavano per le lunghe e allora decidemmo di cercare direttamente una sor­gente in alta montagna non ancora utilizzata. Ne visionammo diverse, poi ci imbattemmo in quella di Vinadio: assaggiammo l’acqua che sgorgava e ci piacque subito. Fu così che de­cidemmo di lanciarci in questa avventura, pur senza avere la minima conoscenza del settore».
L’inizio di un sogno, insomma.
«Non proprio. All’entusiasmo iniziale, infatti, seguì un periodo, durato due anni, davvero molto difficile. Le vendite, ap­paltate a una società esterna, non decollavano e il rischio di “default” era concreto».
Cosa accadde allora?
«La nostra famiglia fece quadrato e decise di prendere in mano la situazione. Mi staccai dal mondo delle costruzioni e mi impegnai in prima linea per la società di acqua minerale. Cercai dei partner, ma nessuno pareva interessato».
E quindi?
«Iniziai a gestire in toto l’attività, senza tuttavia poter nemmeno assumere personale, viste le difficoltà della società. Feci un po’ di tutto pur di far andare meglio le cose: dal direttore commerciale al responsabile di produzione, passando per la gestione del marketing. Ai collaboratori, preoccupati per la siuazione che si era creata, parlai in modo franco: dissi loro che ce l’avrei messa tutta pur di salvare l’attività. Da quel mo­mento, nel 1998, è iniziata una crescita verticale che non ha più subito interruzioni».
Come si spiega un successo del genere?
«Anzitutto, si è rivelata vincente la decisione di puntare su persone preparate e competenti. In parallelo, abbiamo cercato di differenziarci dagli altri operatori del settore».
In che modo?
«Investendo molto, oltre che sulle persone, anche in ricerca e innovazione, caratteristiche che da sempre contraddistinguono la nostra azienda».
Ci fa degli esempi concreti?
«Siamo stati tra i primi a intuire che il consumatore, nei prodotti da acquistare, ricercava il rispetto dell’ambiente oltre che la qualità. È così che 15 anni fa, da pionieri, lanciammo la bio-bottiglia, biodegradabile e compostabile».
Ha avuto successo?
«Forse non molto, perché costa leggermente di più rispetto alla bottiglia in plastica, in quanto il costo della materia prima è superiore. Tuttavia, ha lanciato un messaggio importante».
L’attenzione per l’ambiente e­merge anche dal vostro stabilimento produttivo.
«È costruito secondo i principi di bioarchitettura e bioedilizia: nella sua struttura, che si estende per 60 mila metri quadrati, dominano legno e pietra, rispettando gli stili e i materiali tradizionalmente utilizzati in valle. Inoltre, le linee dedicate all’imbottigliamento sono interamente robotizzate».
L’attenzione all’ambiente va di pari passo con quella al tessuto economico locale.
«Assolutamente sì. Siamo l’unica attività industriale della zona e dal nostro successo dipende la fortuna di molte imprese che sono nate in quest’area. Avvertiamo questa responsabilità».
Una responsabilità che è anche verso la comunità, di cui fanno parte molti dei vostri dipendenti.
«La responsabilità sociale è una nostra priorità. Solo di recente, abbiamo effettuato una donazione di mezzo milione di euro per sostenere gli ospedali piemontesi impegnati nella battaglia contro il coronavirus e abbiamo sostenuto le attività di Croce rossa e altre realtà di volontariato impegnate in pri­ma linea. In parallelo, abbiamo ritenuto doveroso riconoscere un aumento di stipendio del 30% a ciascun nostro collaboratore per premiarlo della dedizione al lavoro mostrata in un momento così difficile».