«L’agricoltura una ricchezza contro la crisi»

Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti Piemonte: «Tutti hanno visto l’importanza del nostro settore»

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Corsa all’acquisto, car­relli della spesa stracolmi e file in­terminabili per ac­caparrarsi i prodotti per la tavola. Se c’è un elemento di riflessione indotto dal coronavirus nelle ultime settimane, è sicuramente quello legato al ruolo del settore alimentare nella vita quotidiana di ognuno di noi, essenziale per la nostra sopravvivenza, come i nostri comportamenti hanno confermato di fronte all’emergenza.
Proprio del settore agricolo e delle criticità di queste settimane abbiamo parlato con Roberto Moncalvo, presidente di Col­diretti Piemonte, che sin da subito ha cercato di raccogliere tutte le principali istanze del settore, per portarle al centro del dibattito pubblico e politico.
Presidente, che cosa sta rappresentando il coronavirus per il mondo dell’agricoltura?
«Va detto che molti settori hanno continuato a produrre, es­sendo l’agricoltura strategica per la nostra economia e la nostra sopravvivenza. Ciono­nostante, i problemi generati dalla pandemia o correlati a essa non mancano: si tratta di criticità specifiche per alcuni settori, ma anche di minacce comuni, come per il proliferare della fauna selvatica o la sempre più preoccupante siccità».
Quali settori hanno risentito mag­giormente delle restrizioni?
«Sono tre, in modo marcato. In primis, il comparto agrituristico, che ha potuto portare avanti le attività agricole, ma ha di fatto azzerato quelle dedicate al pubblico. In secondo luogo, il florovivaismo: il 75% del fatturato annuale era generato nei mesi primaverili e ora è stato praticamente annullato, complici i divieti e la conseguente mancanza di do­manda. Infine, il settore vitivinicolo, che vive di socialità e di consumo nei locali: il “lockdown” ha imposto, ovviamente, un taglio net­to, con conseguenze che ri­schiano di ripercuotersi anche sulla vendemmia, ormai lontana solo pochi mesi».
Uno dei temi emersi nelle ultime settimane e di stretta attualità per l’agricoltura cuneese è quello legato alla carenza di ma­nodopera, dovuto allo stop degli spostamenti tra Stati…
«Si tratta di una criticità importante, anche perché relativa a una questione imminente. O­gni anno nel saluzzese giungono quasi 12 mila persone straniere per la raccolta, provenienti perlopiù dalle regioni africane e dalla Romania. Oc­correrà avviare un dialogo con i paesi stranieri e con la Com­missione europea per fare in modo che, fatte salve le prescrizioni sanitarie, i lavoratori possano muoversi. Allo stesso tem­po, dobbiamo lavorare sulla manodopera locale: il “Cura Italia” ha previsto l’aiuto gratuito nell’attività agricola per i parenti fino al sesto grado, ma serve di più, a partire dalla semplificazione del sistema dei “voucher”, che l’agricoltura ha già dimostrato di saper sfruttare senza abusarne».
Capitolo prezzi. Qual è lo scenario attuale?
«Anche qui dobbiamo registrare note dolenti, relative in particolar modo al mercato del latte e alle speculazioni messe in atto da alcuni grandi attori, con l’abbassamento del prezzo alla stalla anche del 20%. Oltre a un forte intervento della Regione Pie­monte, abbiamo richiesto al Mi­nistero della Salute che vengano resi noti i dati sull’importazione del latte dall’estero, per vederci chiaro su una situazione che non ci convince. L’unica realtà che non ha affrontato speculazioni è quella Inalpi-Ferrero, dove, grazie all’accordo promosso da Coldiretti, da ormai dieci anni i contratti sono legati ad un’indicizzazione del prezzo costruita su basi scientifiche, legate a fattori oggettivi».
La pandemia può far suonare, quindi, un campanello d’allarme per il comparto?
«Più che un allarme, deve essere un’occasione forzata per avviare una riflessione generale sulla nostra economia. Credo che, una volta superata la pandemia, sarà importante sedersi attorno a un tavolo e riconoscere come proprio l’agricoltura vada tutelata e valorizzata con investimenti importanti, perché oggi rappresenta un quarto del Pil nazionale e perché solo così potremo garantire quella sovranità alimentare che solo ora abbiamo capito essere così rilevante. Serviranno interventi strutturali».
Insomma, tutti uniti per sostenere l’agricoltura italiana…
«Oggi più che mai. Proprio per questo, ci ha molto infastidito la campagna mediatica messa in atto da un programma televisivo nazionale che nelle scorse settimane ha addirittura correlato l’inquinamento prodotto dagli allevamenti alla diffusione del coronavirus. Farlo oggi, in uno scenario di paura come quello attuale e per di più servendosi una teoria già ampiamente smentita in passato, è qualcosa di veramente scorretto. L’agricoltura non inquina, anzi, semmai contribuisce a ripulire l’aria dall’inquinamento generato da altri comparti. E credo che il calo di quest’ultimo nelle ultime settimane di stop all’industria sia la migliore delle risposte. Il settore primario è “primario” proprio perché prioritario per la nostra vita. Sarà cosa buona e giusta ricordarselo una volta terminata questa pandemia».