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Il partner migliore? Non solo imprinting

«Vogliamo capire su quali circuiti neurali si innesca la memoria olfattiva. E conoscere di più la vita»

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Avete presente quel vecchio episodio di “Tom e Jerry” in cui un paperotto appena nato identifica nello strampalato gatto la sua mam­ma? È lo spunto per una serie di situazioni esilaranti, ma è anche una citazione dotta: fa riferimento a ciò che accadde all’etologo Konrad Lorenz con una piccola oca, alla teoria dell’”imprinting”.

Da qui alla ricercatrice monregalese Sere­na Bovetti il passo è più breve di quanto si possa pensare. Perché nel progetto di ricerca premiato da “Human Frontier Science Program”, si parla di “imprinting” sessuale, il meccanismo che in molte specie animali si basa sulle memorie olfattive, visive o acustiche dei primi giorni di vita: ciò su cui la dottoressa Bovetti assieme al collega Paolo Peretto del “Neuroscience Institute Cava­lieri Ottolenghi” sta indagando. In particolare, su quali siano i circuiti neurali interessati.

Dottoressa, come è nata l’idea di approfondire questo aspetto?
«Si tratta di uno studio che portiamo avanti da tempo. La mia ultima esperienza lavorativa è stata all’Istituto di Tecnologia a Genova, dove ho acquisito nuove competenze, per esempio nell’“imaging” (l’osservazione di un’area dell’organismo), che ho applicato a vecchi temi. L’idea di base è stata un po’ romantica, cioè studiare a fondo un argomento che mi ha sempre appassionato».

Il riconoscimento dello Human Frontier è importante e prestigioso, la vostra equipe è stata l’unica premiata in Italia.
«I criteri erano stringenti e partecipavano studi da tutto il mondo. Si tratta di uno dei pochi finanziamenti riservati alla ricerca sui meccanismi fondamentali della scienza di vita».

Come vi siete mossi per avviare la ricerca?
«Abbiamo coinvolto gli etologi del Konrad Lorenz di Vienna e gli ingegneri di ottica fotonica della Sorbona di Parigi per garantire una multidisciplinarità richiesta anche dalle caratteristiche dello studio: le memorie che portano alla scelta del partner sessuale si basano su stimoli olfattivi, visivi e acustici. Dovevamo quindi studiare la comunicazione animale, tra le altre cose. Il concetto è che l’imprinting sessuale porta per esempio la femmina, memorizzando odori e suoni del padre, a scegliere poi un partner con ca­ratteristiche diverse per garantire variabilità e maggiore so­prav­vivenza alla prole. Ma questi erano concetti già conosciuti».

Che cosa è che vi aspettate di scoprire?
«Nuove indicazioni su come queste informazioni viaggiano sui circuiti neurali, come si formano, quali aree interessano. È difficile capirlo. Ora stiamo valutando la possibilità di utilizzare un microscopio che sarà in grado di osservare le attività del cervello mentre un animale compie le scelte di cui sopra, verificare sovrapposizioni con l’area della memoria olfattiva. Il nostro è un progetto neuroscientifico».

E queste informazioni a cosa porteranno?
«A un avanzamento nella conoscenza con mille variabili. Il bando per il finanziamento indicava e favoriva “idee rischiose”, fuori dall’ordinario, innovative. Non per forza legate a un riscontro immediato e concreto».

Si può pensare a un risultato utile anche in campo sociologico, nei rapporti tra gli individui?
«Ce lo siamo chiesto. I meccanismi di scelta del partner portano a selezionare il meglio, per esempio gli animali escludono i partner malati. Ma sono meccanismi da valutare asciugati da ogni considerazione emotiva».

Dal suo professionale punto di vista che cosa si aspetta?
«Vorrei continuare le ricerche nel campo delle scienze naturali, su questi temi. Che non necessariamente portano risposte immediate, magari per una malattia. Ma sono importanti. Spesso mi chiedono: che cosa curi? La nostra ricerca aiuta a capire meglio i meccanismi della vita. Non è un compito facile, i fondi sono pochi e rari. Eppure lo stato dovrebbe investire di più in queste ricerche. Senza mettere fretta. La corsa per avere il nostro riconoscimento è stata a tratti infernale, ci ha costretto a scrivere e riscrivere. Ma alla fine io e il mio collega Paolo ci siano detti che è stato bello anche mettersi in gioco, è stato divertente».

Ci assicura che i test sugli animali non sono invasivi?
«Soprattutto non utilizziamo animali da laboratorio, perché i comportamenti non sarebbero abbastanza naturali. A noi serve osservare il comportamento di animali selvatici, in ambienti non chiusi e che possano scegliere liberamente, nell’ambito delle loro regole territoriali e le gerarchie».

Come incide l’emergenza coronavirus sul vostro lavoro?
«Siamo anche noi bloccati. Aspettiamo una cura stabile, prima di un vaccino che richiede tempi più lunghi».