Gentile lettrice, come prima cosa grazie di averci scritto. Considero un privilegio far parte della ristretta cerchia delle sue frequentazioni da vita “similmonacale”.
Faccio una premessa su una parola che ha usato lei: assembramenti. Lo ha utilizzato non a caso, dal momento che in queste settimane è un termine che ricorre spesso, proprio legato al divieto di “creare assembramenti”. Mi sono chiesto perché sia stata scelta questa parola, “assembramenti”, così poco utilizzata nel gergo comune invece che altre più consuete. Forse è perché non ha un bel suono e quindi, magari, rende meno inaccettabile l’idea di non organizzarne. Mah… Fine della digressione.
Per commentare la sua lettera uso un’altra parola: presenza. Nel mondo a cui siamo abituati, “presenza” significa in prima istanza, essere presente in un determinato luogo in cui avviene una determinata cosa. Come alternativa, viene usato per indicare l’aspetto esteriore, il modo di presentarsi di una persona. Sono due accezioni del termine che non le si confanno, ma che nella quotidianità di prima erano di certo prevalenti. Questo isolamento forzato le ha permesso di coltivare un’altra dimensione della presenza. Presenza come partecipazione, intellettiva ed emotiva, molto prima che fisica. Anzi: la componente fisica, in questo momento impossibile da perseguire, la allontanerebbe dalle altre due componenti. Quel “vivere senza dover apparire” che scrive lei penso non significhi qualcosa di molto diverso.
Ognuno di noi sviluppa la parte di sé che più allena, ma è ovvio che si porta dietro anche le altre. Non smetta di essere presente nel senso che più le si addice anche quando dovrà farlo di nuovo… alla presenza di altri.