Il presidente di Fondazione Crc Giandomenico Genta riflette sull’Ops che Intesa San Paolo ha lanciato su Ubi, banca strategica per il sistema Italia e i suoi territori più dinamici, che non può essere dispersa, ma deve crescere e aggregare.
«Ubi è una grande banca, che rappresenta un partner strategico per l’Italia più dinamica e avanzata. Disperdere questo valore con un’operazione come quella prospettata da Intesa sarebbe un grave errore. La ripartenza dalla crisi indotta dal Coronavirus ha bisogno di operatori forti. Esattamente come Ubi. La pluralità degli attori impegnati per la ripresa è importante non meno delle loro potenzialità di crescita».
Il Presidente della Fondazione Crc, Giandomenico Genta, che fa parte del gruppo di azionisti “pesanti” di Ubi Banca riuniti nel Car, ribadisce tutte le riserve sull’offerta lanciata da Banca Intesa su Ubi. Ci può spiegare perché, Presidente?
«Come ho già avuto occasione di sottolineare, tutte le implicazioni strettamente legate all’offerta, almeno nella sua formulazione iniziale, sono negative per Ubi e i suoi stakeholder, azionisti in primis. Ho forti riserve anche sulla “visione” che sembra ispirarla: l’Ops sembra un’ottima operazione, ma in realtà lo è solo per Intesa. La crisi dovuta alla pandemia, con il blocco dell’economia che ha comportato, fa emergere ulteriori riserve, perché non credo che se ne possa uscire con un ritorno al passato. Ubi Banca rappresenta una risorsa fondamentale per far ripartire il Paese e i suoi territori più dinamici, nei quali è particolarmente attiva e radicata» .
L’offerta è stata lanciata prima che esplodesse a livello globale la crisi da Coronavirus. Secondo alcuni la caduta dei titoli in Borsa delle ultime settimane potrebbe renderla ora più interessante. O no?
«Continuiamo ad essere contrari a un’operazione che non solo valuta Ubi appena al 40% del suo patrimonio, tra l’altro senza tirar fuori neanche un euro, ma con uno scambio puramente azionario, ma prevede in aggiunta lo ‘spezzatino’, vale a dire il dissolvimento di un gruppo che ha la sua forza nell’articolazione e nella diversificazione dell’offerta, e addirittura la cancellazione del titolo dal listino della Borsa di Milano. Opporsi a questa operazione significa salvaguardare un’impresa sana, con prospettive di crescita e di sviluppo, che potranno anche passare attraverso una futura aggregazione. Osservo che lo stesso vertice di Intesa ha sottolineato in questi ultimi giorni di voler valorizzare Ubi, un’affermazione contradditoria rispetto all’ipotesi iniziale».
Il Car è il patto di consultazione di cui la Fondazione Crc fa parte insieme alla Fondazione Banco del Monte di Lombardia e a numerosi imprenditori di rilievo e che riunisce circa il 20% dell’azionariato di Ubi. Come vi preparate a giocare la grande partita del dopo-virus?
«Il coronavirus è il terzo shock che ha colpito l’economia del pianeta negli ultimi 20 anni. Il primo è stato l’11 settembre, da cui si è usciti con la globalizzazione, e il secondo la Grande Crisi del 2008, che ha richiesto di regolare e disciplinare una globalizzazione troppo spinta, soprattutto nella finanza. Con questa crisi si entra in una fase nuova in cui la territorialità tornerà centrale: quella della localizzazione globalizzata in cui, insieme alla dimensione, conteranno sempre più le competenze e le eccellenze che un distretto è in grado di esprimere. La priorità per le banche non sarà quindi tanto tagliare costi e posti di lavoro, quanto piuttosto di dare valore ai territori e sostenere le comunità che vi sono insediate».
Il tema dividendi era cruciale per la riuscita dell’Ops di Intesa. Ma ora anche i dividendi sono stati in qualche modo “cancellati” dalla crisi del coronavirus, almeno per un periodo di tempo. Questo cambia qualcosa nella vostra valutazione?
«Proprio i dividendi erano stati proposti da Intesa come uno dei punti di forza dell’offerta, e oggi registriamo che i dividendi sono sospesi. E mi lasci dire che se c’è una banca che ha sempre distribuito il dividendo per cassa, questa banca si chiama Ubi. Vorrei inoltre sottolineare che nei ricavi di Fondazione Crc i dividendi della banca conferitaria rappresentano poco più del 10%: il resto deriva da un’intensa attività di negoziazione di titoli che, pur mantenendo un profilo di prudenza, genera proventi aggiuntivi. Più in generale, ritengo che in questa fase storica prima ancora dei dividendi conti la conoscenza del territorio e la disponibilità di risorse da impiegare nella ripartenza dell’economia e nella crescita futura, dando attenzione non solo a imprese e famiglie, ma anche a terzo settore e mondo del volontariato, che in questo periodo hanno contribuito in maniera essenziale a sostenere le nostre comunità».
Perché alla fine è così importante che Ubi Banca rimanga indipendente e protagonista del suo futuro, magari aggregando altre forze?
«Perché rappresenta l’Italia più dinamica e attiva, che ha bisogno di una banca come Ubi, con il suo radicamento, le sue capacità di crescita e la possibilità di giocare un ruolo da aggregatore. Una prospettiva auspicata molto autorevolmente dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che ha recentemente parlato della possibile nascita di un ‘terzo polo bancario’. In questa visione ovviamente Ubi si propone in un ruolo da protagonista e come azionisti non possiamo che vedere di buon occhio una prospettiva che guarda al futuro e alla crescita. Anche perché il territorio che rappresentiamo, quello della provincia cuneese, fa parte di quell’Italia che non è rimasta ferma negli ultimi 10 anni: il “modello Cuneo” è ormai riconosciuto a livello nazionale come fonte di ispirazione in molti settori, dall’agroalimentare al manifatturiero, fino alle eccellenze del nostro artigianato. Un’Italia che ha saputo interpretare la globalizzazione puntando sulle produzioni di eccellenza e spostando la leva dal low cost alla qualità. Un’Italia in cui una banca forte e propositiva come Ubi potrà giocare un ruolo decisivo per affrontare e vincere le sfide del dopo-virus. Come afferma il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, questo è “il momento di una grande coesione e della lealtà tra tutte le parti in causa”».