«Grbic. Seconda linea. Nikolov. Sì! La Bre Banca Lannutti Cuneo è campione d’Italia! Batte 3-1 l’Itas Diatec Trentino! (Alessandro Antinelli, Raisport, 9 maggio 2010)».
A dieci anni esatti dalla vittoria dello scudetto di Cuneo, abbiamo voluto ricordare la gioia di quei giorni e di quei momenti attraverso le parole di alcuni dei protagonisti, in campo e fuori. Un tuffo nel passato, tra aneddoti ed emozioni uniche.
IL PRESIDENTE – Valter Lannutti
Lannutti, che cosa fu per lei e per la città di Cuneo?
«Il trionfo più bello, ma non l’unico. Quegli undici anni da Presidente furono ricchi di soddisfazioni e ricordi indelebili».
Che cosa porta nel cuore in particolare?
«Ho tre ricordi unici che resteranno sempre con me. In primis, quello legato al nostro grande pubblico: appassionato, unito, numeroso. Vedere 5 mila persone al palazzetto mi riempiva il cuore. In secondo luogo, le vittorie: dalla Coppa Italia alla Cev, arrivando appunto allo scudetto. Infine, il settore giovanile, il nostro più grande orgoglio: vedevo ragazzi pieni di passione presentarsi all’allenamento con i borsoni griffati “Bre Banca Lannutti” e sognare un giorno di emulare i grandi campioni che in quegli anni giocavano da noi».
C’è un rimpianto?
«Aver perso la finale di Champions League, senza dubbio. Se mi chiede di tracciare un bilancio, però, non può che essere estremamente positivo».
IL COACH – Alberto Giuliani
Quale immagine sceglierebbe per raccontare quel trionfo?
«È una scelta facile, perché ne ho una ben stampata nella mente: io che guardo i volti dei tifosi e vedo le loro espressioni festanti ed appassionate. Vedere la gente felice per quello che fai è bellissimo e credo che sia l’essenza vera del nostro lavoro».
In molti ritengono che la sua principale abilità fu quella di far remare un gruppo di “primedonne” nella stessa direzione…
«Ho sempre pensato che la vita di tutti i giorni debba essere scissa dalla palestra: quando ci si allena o si gioca, esistono delle gerarchie che vanno rispettate, fuori si vivono invece rapporti diversi. Erano sì grandi giocatori, ma soprattutto professionisti che accettarono di mettere sempre il Cuneo al primo posto».
Che rapporto aveva con patron Lannutti?
«Fantastico, sin dal primo giorno. Ricordo che quando lo incontrai iniziammo a parlare dei nomi importanti che avremmo potuto ingaggiare e ogni volta lui mi diceva: “Sei sicuro di voler prendere un giocatore così forte?”. Io rispondevo sempre: “Meglio un giocatore forte e difficile da gestire che uno scarso” (ride, ndr)».
Infine, quale ricordo ha di Cuneo?
«Bellissimo. La dirigenza mi accolse alla grande: da Pistolesi ai compianti Bruno Lubatti e Masino. Persone d’oro. I tifosi, invece, erano “caldi”, ma seppero sempre metterci addosso la pressione giusta, che la squadra riuscì a trasformare in grinta agonistica. La città, infine, è fantastica: ricordo deliziose colazioni e tante piacevoli amicizie».
IL CAPITANO – Wout Wijsmans
Wout, partiamo da quell’immagine, l’alzata della Coppa. Che emozione è stata?
«Fu il momento più bello. La alzai al cielo nel tripudio generale, ma ricordo che subito dopo dovevo sottopormi al controllo antidoping. Andai via e quando tornai i miei compagni erano già tra spogliatoio e pullman, ma trovai i tifosi ancora lì. Mi arrampicai sui cartelloni pubblicitari e con loro vissi il mio trionfo, tra canti, abbracci e anche qualche lacrima».
Quali altri fotogrammi si porta dietro di quel V-day?
«Era la prima volta in assoluto che la finale si risolveva in gara secca, per cui eravamo tesissimi. Da sportivo, però, vivi per quei momenti, per giocarti tutto con una sorta di “all in” che si risolve in poco più di un’ora. Ecco perché credo che più emozionante ancora della partita fu tutto ciò che ci condusse ad essa: il viaggio, la vita comune in hotel, la cura dei dettagli che poi fecero la differenza».
Che squadra era, quella dello scudetto 2009-2010?
«Una squadra forte, anzi, fortissima. Fu anche la più vecchia a vincere lo scudetto, ma era in primis un gruppo ricco di talento e di esperienza, che seppe trovare la giusta coesione. Qualche mese prima, vincemmo la Coppa Cev: durante i festeggiamenti in Belgio, ricordo che Grbic incitava e coinvolgeva tutti. Vedere uno con un palmares così lungo con quell’entusiasmo mi fece capire che il gruppo aveva davvero fame. Si litigava tanto, ma dentro al rettangolo di gioco si remava tutti nella stessa direzione. Sempre».
In questo quanto contò il lavoro di Giuliani?
«Fu fondamentale. Sapeva dialogare con te anche fuori dal campo, senza però parlare di pallavolo sempre e in modo ossessivo. Quando ci si allenava o si giocava, invece, il capo era lui ed era giusto pedalare».
Patron Lannutti ed i tifosi: quanto fu importante il loro affetto?
«Ci diedero una grossa mano. Con il presidente mi sento ancora oggi: fui il suo primo acquisto nel 2003 e se rimasi a Cuneo per così tanti anni fu proprio perché c’era lui, uomo unico per disponibilità e correttezza. Il rapporto con i Blu Brothers fu di amore e odio, come accade tra due persone che si vogliono bene. Ricordo un duro scontro con loro dopo un ko di Champions League contro Piacenza: fu lì che imparai dai tifosi che non era importante vincere sempre, ma dare sempre il 100%».
IL MURO – Luigi Mastrangelo
Cuneo e Mastrangelo insieme hanno vinto tanto, ma è quello il trionfo più bello?
«Forse sì, di certo il più sentito. A Cuneo ho costruito la mia vita e sono felice che questa piazza abbia vinto il suo unico scudetto con quel gruppo e con quei giocatori. Il Tricolore era diventato quasi una chimera per la Bre Banca Lannutti, nonostante al palazzetto fossero passati grandi campioni. Noi ci riuscimmo, e ne sono veramente orgoglioso».
Ci fu un momento in cui tutto il gruppo capì che ce la si poteva fare?
«Non un momento preciso, ma io ricordo a un certo punto di aver intuito che nulla poteva fermarci: Giuliani, tanto discusso all’inizio, aveva preso per mano una squadra piena di campioni e la stava comandando, nel vero senso della parola, facendola lavorare con il solo obiettivo di vincere. Quello fece la differenza».
Ricordi di quel 9 maggio?
«Lo ricordo dall’inizio alla fine. Fu un successo stupendo per noi e per la città. Ognuno pensava alla partita durante il tragitto dall’hotel al palazzetto. In campo, temevamo Trento che ci aveva già battuto in Coppa Italia, tanto che il primo set fu quasi totalmente a loro favore. Da lì in poi, però, non ci fu più partita».
IL CUNEESE – Andrea Ariaudo
Di quel gruppo, insieme a qualche giovane, lei rappresentava l’ossatura cuneese. Pur non essendo un titolare, come ha vissuto quel trionfo?
«Era il primo V-day, quindi era una cosa nuova per tutti. La settimana precedente fu piena di tensione, ma non mancavano gli scherzi. Eravamo convinti che potevamo farcela. La sfortuna volle che proprio in quei giorni io mi rompessi il menisco: nonostante l’infortunio, che mi impedì di essere nella lista, fui il primo a sostenere i miei compagni, a pochi centimetri dalla panchina».
I momenti successivi alla vittoria?
«I tifosi entrarono in campo e ci assalirono, spogliandoci di tutto. Qualcosa di indescrivibile per intensità. Quel gruppo era partito accompagnato da qualche dubbio e finì per regalare alla marea blu che invase Bologna una gioia incredibile».