Home Articoli Rivista Idea «È una guerra subdola, che vinceremo»

«È una guerra subdola, che vinceremo»

Secondo Oscar Farinetti sostenere le imprese è l’unico modo per ottenere posti di lavoro e salari stabili

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Gli imprenditori sono abituati a risolvere problemi. Per questo, forse, in questo contesto di difficoltà generalizzata non c’è talk show che prescinda dall’invitare questo o quell’industriale.

D’altronde, la capacità di affrontare e superare problemi è quasi un pre-requisito per poter fare impresa. L’albese Oscar Farinetti, patron di Eataly (ora alle prese anche con il progetto “Green Pea,” una nuova concezione di centro commerciale che proporrà prodotti ecologici appartenenti a diverse categorie merceologiche, dall’abbigliamento all’arredamento) è tra i più richiesti, perché dice quello che pensa e lo dice in modo tale che tutti capiscano. Una buona abitudine che conferma anche analizzando con IDEA le conseguenze dell’emergenza legata al covid-19.

Una quindicina di giorni fa, Aldo Cazzullo intervistando Angelo Gaja sul Corriere della Sera in merito alla situazione attuale si è sentito rispondere: “quando persino il mio amico Farinetti non è ottimista, allora inizio a preoccuparmi davvero”. Se il produttore vinicolo parlasse con lei oggi, sarebbe più rassicurato rispetto ad allora?
«In questo caso la questione non è il rapporto tra ottimismo e pessimismo, ossia tra il guardare al futuro pensando che i problemi si possano risolvere o meno. Essere ottimisti, di quelli che combinano qualcosa e quindi diversi dai sognatori, significa essere anche realisti.

E il mio realismo mi porta a pensare che questo sarà davvero un colpo spaventoso per la nostra economia. Il problema economico viene di certo dopo quello sanitario e del “welfare”, non c’è alcun dubbio; ma mentre sui primi due versanti qualcosa è stato fatto, nulla si muove sul versante economico.

L’unico modo per salvare le imprese ora è iniettare liquidità; alcuni paesi, come la Svizzera, la Francia o gli Stati Uniti, l’hanno capito e lo stanno facendo. Non ci sono alternative per sostenere le imprese che non solo non hanno entrate, ma devono sopportare delle uscite, penso per esempio a quelle imprese che anticipano i salari dei cassaintegrati. Ci sono imprenditori per bene e che se lo possono permettere che lo stanno facendo.

Ricevo centinaia di telefonate al giorno di imprese che sono al collasso, dai piccoli artigiani ad aziende medie e grandi, specie nel mondo della ristorazione: non stanno guadagnando, ma continuano a dover sostenere un sacco di costi, a dover pagare i debiti che avevano contratto in precedenza.

Occorre dare immediatamente una risposta alle imprese perché sono le imprese che creano il lavoro. Posti di lavoro stabili e salari si fanno con le imprese, non con il “welfare”».

In questa situazione non solo la coperta, come si suol dire, è corta, manca proprio… Come si fa quando, come in questo caso, non resta neanche un settore che possa fare da traino?
«È necessario un intervento del la Banca centrale europea. La Bce ha passato cinque anni a stampare soldi per salvare le banche dopo il fallimento della Lehman Brothers, ora bisogna che lo faccia per salvare le imprese».

Così non si rischia di innescare l’inflazione?
«In questi anni in cui la Bce ha stampato 60 miliardi di euro al mese questo effetto non si è verificato. L’inflazione si innesca all’aumento della liquidità se manca il prodotto, ma qui il prodotto c’è e ci sono le persone che possono produrlo. Se anche si dovesse produrre un’inflazione del 4-5% non sarebbe grave, anzi. In questi giorni in Europa si sta discutendo di stampare circa 750 miliardi; se accadesse e il denaro venisse distribuito alle imprese, queste potrebbero pagare i loro debiti ed essere pronte a ripartire. Ma l’egoismo sta ostacolando qualsiasi accordo».

In passato altri momenti difficili hanno comportato anche cambiamenti positivi, penso per esempio alla questione metanolo, che fu tragica ma determinò una rivoluzione nel modo di concepire il vino…
«Verissimo. Anche da un momento negativo come questo potrebbe venire fuori qualcosa di buono, che ci aiuti a migliorare. Migliorare significa meno io e più noi, badare di più al bene di tutti. È giusto cercare note positive in una situazione drammatica come questa, che non dipende da noi.

Questa è una guerra mai dichiarata agli umani, le caratteristiche sono simili (isolamento, paura, ecc.) ma è persino più subdola, perché un virus non lo puoi vedere. È possibile che alla fine, quando ne usciremo, saremo un po’ migliori.

E di certo ne emergeranno i migliori, intendo quelli che faranno cose nuove, produrranno un’offerta nuova. Se penso al mio settore, per esempio, sono convinto che i ristoranti dovranno essere ristoranti nuovi, che propongano nuovi piatti e una nuova forma di convivialità. Credo vincerà chi saprà offrire qualcosa di nuovo perché quando usciremo di casa e vorremo riabbracciarci, saremo di certo persone nuove».

L’online è una soluzione a misura di una realtà come Eataly?
«Eataly è l’azienda che distribuisce la maggior parte del cibo di alta qualità acquistato online (è davanti persino ad Amazon). In queste settimane il settore è stato potenziato, sia perché la richiesta è aumentata, sia perché Eataly deve far fronte alla chiusura dei suoi ristoranti in tutto il mondo, ossia alla perdita di circa il 60% del fatturato complessivo.

Il restante 40% deriva dalla vendita dei prodotti, ma dal mercato è difficile mantenere buoni numeri perché i negozi di Eataly vendono cibo e affini, ma non tutta una serie di prodotti che si possono trovare nei supermercati standard».

Se mi consente la battuta, dev’es sere per questo che l’editore Urbano Cairo non l’ha nominata tra quelli che ha contattato per fare pubblicità nel video “motivazionale” di cui tanto si parla in questi giorni… [Ride]
«Già dev’essere per questo. Comunque quando mi hanno chiesto un commento al filmato, ho pensato: “Che fortuna che non mi abbia chiamato!”. Scherzi a parte, in merito a quella vicenda, penso che il filmato sia uscito dai canali ai quali era indirizzato e sia arrivato a un pubblico che non ne era il destinatario. Prima di giudicarlo va contestualizzato».