Da sempre ci viene insegnata l’importanza che gli alberi rivestono nell’ecosistema e ribadito lo stretto legame tra l’uomo e la natura, ma ci siamo mai chiesti cosa fare una volta che l’albero ha concluso il suo percorso vitale?
Una delle risposte più interessanti e curiose ce la fornisce Renato Giachero, il quale ha un particolare legame proprio con gli alberi, di qualsiasi tipologia essi siano. Se ne prende cura, e nel momento della malattia, si adopera per trasformarli, cercando di fare in modo che ne rimanga traccia.
«Mi chiamo Renato Giachero ho 47 anni, vivo a Paesana e faccio il “tree climber”, lo scultore con motosega nonché l’agricoltore», si presenta l’uomo, intervistato da IDEA per capire meglio cosa faccia e come lo faccia.
Cosa sono per lei gli alberi?
«Gli alberi sono la mia vita e la mia passione, quando mi arrampico su di loro mi pervade un grande senso di responsabilità, è per questo motivo che bisogna affidare la cura dei propri alberi a persone competenti e non a gente improvvisata».
Di che cosa si occupa precisamente la sua azienda?
«La mia è un’azienda agricola e il “tree climbing” è diventato una necessità proprio per poter curare i miei castagni centenari. Ho poi inserito anche l’apicoltura e la frutticoltura».
Quanto tempo si impiega in media ad abbattere un albero?
«Un abbattimento è un’operazione molto complessa, sovente si ricorre all’abbattimento controllato che significa legare e calare a terra, in modo controllato ogni parte di chioma e fusto, per preservare le strutture sottostanti. In queste situazioni possono occorrere anche due o tre giorni. Se possiamo tagliare e lasciare cadere i rami a terra, le tempistiche ovviamente si dimezzano.
Da quanti anni pratica questo lavoro?
«Sono dieci anni che mi occupo di arboricoltura su fune, il “tree climbing”, appunto.
Da cosa nasce la sua passione per la scultura degli alberi?
«Ho iniziato per caso, circa 6 anni fa, quando per un infortunio a un ginocchio ero impossibilitato a salire sugli alberi. Così provai a scolpire un gufetto con la motosega. Il risultato fu a malapena decente, ma non mi arresi e col tempo cominciai ad attrezzarmi con motoseghe sempre più piccole e adatte allo scopo. È una passione che consente di imparare e migliorare costantemente scoprendo sempre nuove forme e nuove tecniche per realizzarle. Da allora la scultura con motosega è diventata una forma di malattia che spesso occupa il poco tempo libero a disposizione».
Quali sono state le sue opere più eclatanti?
«Di sicuro la sedia che guarda il Monviso a Paesana che ha impegnato me e i miei amici per parecchie ore: dopo aver eseguito l’abbattimento dell’albero malato abbiamo eseguito la nostra opera in suo ricordo».
«Intagliate solo alberi malati?
«Sì, come arboricoltore non mi verrebbe mai in mente di scolpire un albero vivo. Spesso si tratta di tronchi di alberi abbattuti per motivi di stabilità oppure scolpiamo dei ceppi dopo aver eseguito l’abbattimento dell’albero: è un modo per poter continuare a mantenere vivo il suo ricordo».
Come fate a capire se un albero è malato e come poter operare?
«Una prima analisi la svolgiamo noi arboricoltori osservando lo stato generale di fusto chioma e soprattutto del colletto della pianta. Se ci sono dubbi sulla stabilità ricorriamo a un’analisi più approfondita da parte di un dottore forestale che, con l’aiuto di strumenti appositi riesce a darci una valutazione precisa sullo stato di conservazione del legno. Questo ci fa capire come intervenire e valutare se abbattere o potare ed in che modo».
Qual è l’altezza massima sulla quale avete lavorato?
«I platani plurisecolari, sono quelli che raggiungono dimensioni molto alte, noi abbiamo lavorato a una altezza massima di circa 35 metri, quando sali a quelle altezze, ti senti una formichina, su quegli alberi maestosi, ma la soddisfazione, una volta ultimata la potatura, è impagabile.»
In quali casi ci si rivolge a un “tree climber”?
«Il mio, essendo un lavoro che si suddivide in due categorie, può essere richiesto per scopi diversi, il primo è per abbattere un qualsiasi tipo di albero malato, e per di più, con la tecnica che utilizzo, è possibile farlo a diversi tipi di altezza e in totale sicurezza, dall’altra parte invece, c’è quella scultorea, che implica la rifinitura e la scultura, quindi a scopo puramente estetico e decorativo».
Ha qualche curiosità da raccontarci o situazione particolare legata al suo operato?
«Ci sarebbero tante situazioni curiose da raccontare, come quella volta che potando un cedro con alcuni colleghi fummo sorpresi da una abbondante nevicata, oppure quando scolpii un tronco di noce che avevo precedentemente abbattuto in un centro ricreativo per bambini e guardavo i loro occhi meravigliati per via di uno gnomo che prendeva forma… Per chi volesse conoscermi meglio, spesso racconto le mie esperienze sul mio profilo Facebook e sulla mia pagina “TreeUp”».
«Scolpisco alberi per farli rivivere»
Renato Giachero di Paesana è un “tree climber” capace di realizzare opere d’arte con la motosega