Cuneo e Duccio Galimberti, indissolubilmente legati. La città medaglia d’oro per la Resistenza e l’uomo simbolo di quel periodo. Un legame talmente forte da generare una piccola stranezza: la piazza principale di Cuneo è intitolata proprio a Duccio Galimberti, ma al centro ospita la statua di un altro personaggio. Quell’uomo fiero che domina il “salotto buono” della città è Giuseppe Barbaroux, altra figura importante per il capoluogo della Granda. Duccio si è “preso” la piazza dopo il memorabile discorso del 26 luglio 1943. Il giorno prima era caduto il fascismo: lui parlò dal balcone di casa sua, affacciato su quella che sarebbe diventata la “sua” piazza, a una folla che lo acclamava. «Fu un discorso incredibile, davvero particolare e lungimirante», dice Sandra Viada, responsabile del Museo Casa Galimberti. «Aveva un testo scritto, ma preferì parlare “a braccio”. Pronunciò un discorso non di quel tempo: per questo credo che la maggior parte delle persone non lo capì».
Cosa disse nello specifico, dottoressa Viada?
«Disse che la guerra non era finita. La gente stava festeggiando quella che credeva essere la fine del conflitto. Anche perché era diffusa “l’associazione” tra Mussolini e la guerra: tutti pensavano che caduto lui anche il conflitto bellico sarebbe finito. Ma non era così. E lui lo sottolineò. Non solo: disse che la guerra sarebbe continuata contro i tedeschi, nonostante fossimo loro alleati. Ed è quello che effettivamente successe dopo la firma dell’armistizio. Ecco perché si è trattato di un discorso assolutamente lungimirante».
Crede che quello sia stato il momento più importante della sua vita?
«Sì, decisamente. Quel discorso fece comprendere la caratura di questo personaggio: una figura illuminata, importante non solo per Cuneo ma anche a livello nazionale. Era un grande uomo e un abile politico. Poco dopo venne ucciso, altrimenti chissà cosa avrebbe potuto fare».
Di recente è stato celebrato il 25 aprile, che anticipa di cinque giorni il compleanno di Duccio. Come avete vissuto questa ricorrenza?
«Per me il 25 aprile è un momento fantastico e lo è anche per Casa Galimberti, naturalmente. Perché si ricorda la Liberazione. Io credo che quest’anno la ricorrenza abbia avuto un significato ancora più forte: eravamo tutti chiusi in casa e questa situazione ci ha fatto comprendere meglio cosa sia stata la Liberazione di allora. Anche in quel periodo le persone erano costrette a non uscire, seppure per un motivo ancora più tremendo: la guerra mondiale. Questa data è una festa, da rivedere e attualizzare, per trasmettere quei valori che ci hanno lasciato Duccio e tutte le altre persone che hanno dato la loro vita per la Liberazione del nostro Paese. Persone straordinarie, pur restando esseri umani imperfetti, come tutti. Quei valori, etici e civili, continuano a essere validi, sempre».
Veniamo al Museo Casa Galimberti. Cosa rappresenta per la città?
«Carlo Enrico, fratello di Duccio, lasciò al Comune la casa e lo studio di proprietà dei Galimberti. E volle che fossero fruibili a tutti gratuitamente. All’interno ci sono una ricchissima biblioteca di famiglia e una raccolta di opuscoli. È presente anche una collezione d’arte con opere di artisti del calibro di Delleani, Grosso, Olivero, Bistolfi, Godet. Quel luogo custodisce una storia che va dalla metà dell’Ottocento agli anni ’70 del Novecento, quella di una famiglia le cui vicende si intrecciano con la storia nazionale. Non c’è solo la Resistenza: pensate che il padre di Duccio, Tancredi, fu ministro di poste e telegrafi. Visitando Casa Galimberti si fa un salto indietro nel tempo».
C’è interesse verso questo patrimonio cuneese?
«Nel 2019 sono passate 4.635 persone e abbiamo organizzato 16 eventi. Soprattutto durante la settimana, accogliamo molti giovani delle scuole che coinvolgiamo in progetti e laboratori. Siamo soddisfatti, anche se sicuramente potremmo fare di più e comunicarlo meglio».
I giovani si appassionano alla storia di Duccio Galimberti?
«Sì, dimostrano grande interesse. I bambini della primaria sono fantastici, ci riempiono di domande. Ma anche i ragazzi più grandi pongono molti quesiti. In molti casi sono i visitatori che provengono da culture diverse dalla nostra a essere più incuriositi dalla figura di Duccio Galimberti».
Cosa avrebbe potuto fare Duccio Galimberti per l’Italia se non fosse stato assassinato durante la guerra?
«Sarebbe diventato uno dei padri della Costituente. Era molto preparato, di fede repubblicana e mazziniano. Con le sue capacità avrebbe fornito un grande apporto alla crescita culturale, politica e civile del nostro Paese».