Due anni fa, con la moglie Carolina Vailati, ha lasciato la vita da maestro di sci a Bardonecchia per stabilirsi e inventarsi una professione nella casa dei nonni in alta Langa. A Bosia, circa cento abitanti, Gioel Terlizzi ha trovato non solo l’equilibrio che cercava, a stretto contatto con gli animali e i pascoli, ma anche il luogo adatto a dare vita alla sua passione, ovvero la produzione di coltelli artigianali per le tavole, anche stellate, di selezionati ristoranti piemontesi.

Gioel non nega di aver avuto attimi di sconforto ma si dichiara soddisfatto di una scelta che rifarebbe mille volte, convinto che bisogna fare quello che ci rende felici ora perché non esiste “una vita di ricambio”. L’anno scorso la loro scelta di vita è stata premiata, in occasione del premio “Ancalau”, con l’assegnazione della targa IDEA “ottenendo un successo in cui non osavano sperare”, ha detto la premiata.

Un riconoscimento che è stato di buon auspicio, dal momento che l’attività ha continuato a funzionare, tanto che nei giorni scorsi il giornalista Mario Calabresi ha dedicato loro un lungo articolo per la rubrica “Altre storie” del suo nuovo progetto editoriale.«A Bosia la mia voglia di creare artigianalmente coltelli unici è diventate una vera professione», esordisce Gioel.

«Ho iniziato a conoscere il lavoro di arrotino poi ho comprato un furgone per girare per ristoranti. “Ho imparato ascoltando i consigli di altri e “rubando” il mestiere dai più esperti. Ci si aiuta l’un l’altro in questo mondo, è bello vedere che ognuno ha i suoi metodi per arrivare ad un lavoro fatto bene. Un giorno il mio amico Maurilio Garola (“chef” dello stellato “La ciau del tornavento”) mi ha ordinato dei coltelli personalizzati per il suo ristorante e quando li ha visti mi ha detto “devi credere in quello che fai, sono prodotti unici”.

Così è nata questa linea che produco per i ristoranti, li creo in base ai desideri e alla mise en place degli chef. Ho uno stile mio però lascio che i cuochi mi raccontino la loro cucina prima di cominciare, il disegno finale nasce insieme a loro».

Con sua moglie, ha anche un allevamento di pecore e capre…
«Sì, abbiamo circa 130 animali. Alleviamo la pecora frabosana roaschina, una razza rustica e camminatrice. Non abbiamo nemmeno le stalle, gli animali stanno tutto l’anno fuori. È una pecora antica, meno produttiva delle pecore di Langa ma non avendo subìto troppe selezioni è rimasta robusta, con zampe tornite e forti. Si accontenta di qualsiasi pascolo, mangia tutto, non come certi animali che a forza di mangiare altri alimenti sono diventati “difisius”, schizzinosi».

Non patiscono il freddo d’inverno?
«Anzi, stanno benissimo. Si adeguano gradualmente al cambio della temperatura, come avviene per gli animali allo stato brado. Noi pratichiamo la doppia tosatura proprio per aumentare il benessere animale, ad aprile e poi ad agosto, così che in inverno non abbiano troppo pelo e si asciughino in fretta se piove o nevica. Pratichiamo una pastorizia che segue in tutto la natura, le nutriamo solo con erba e lasciamo i maschi a pascolare insieme alle femmine.

Non c’è il rischio di parti continui?
«No, i maschi hanno una specie di grembiule che impedisce l’accoppiamento senza disturbare gli animali che possono convivere tranquillamente. Verso luglio li lasciamo liberi, in modo da avere i parti verso gennaio e febbraio. Da noi anche gli agnelli stanno sempre con le mamme, non vengono mai allontanati. Non voglio sentire parlare di biberon per i miei animali. A meno che la mamma non abbia il latte, ma questa è un’altra storia».

Sua moglie Carolina, milanese di nascita, l’ha seguita in questa avventura. Come è andata?
“All’inizio l’ho un po’ trascinata, in effetti. Il lavoro in montagna stava diminuendo e siamo venuti qui nella casa dei miei nonni per concederci una pausa di riflessione e decidere che strada prendere. E poi non siamo più andati via. Lei mi aiuta con la produzione dei coltelli e segue tutta la parte burocratica, per fortuna, visto che io sono negato. È bravissima con gli animali, con i piccoli soprattutto. Quando una pecora non ha latte bisogna dare per forza il biberon agli agnellini e lei ha la pazienza che a me spesso manca».

Com’è lavorare insieme?
«Non semplice, ogni giorno non ci facciamo mancare un battibecco. (ride, ndr). Stiamo sempre insieme e spesso passiamo giorni e giorni senza ve­dere nessuno, se non gli animali. Ci vuole una grande forza di volontà. Ma questo è il bello della vita che abbiamo scelto».

Com’è questa vostra vita?
«Ci si sveglia presto, alle sei cerco di essere dagli animali, poi la mungitura a mano, spesso in posizioni impossibili, in prati scoscesi. Questa terra non ha una grande tradizione di transumanza, i pascoli qua bisogna inventarseli. Una volta l’arrivo di un gregge era accolto con gioia, era una ricchezza, ora bisogna chiedere, accordarsi con i proprietari. Le pecore però brucano tutto e concimano, quando andiamo via lasciamo il prato pulissimo».

Come avete vissuto la quarantena?
«Quasi non ce ne siamo accorti perché le bestie devono avere la pancia pie­na sempre. Sveglia presto, pascolo, mungitura. Il mondo potrebbe an­dare alla rovescia e gli animali che allevi avrebbero comunque bisogno di te. Per questo niente ferie, né fine settimana in giro. Ci vuole costanza, spirito di sopportazione».

Avete mai pensato di lasciar perdere e trovare un lavoro normale?
«Qualche momento di sconforto c’è stato, ma poi un mattino ti trovi in un pascolo bellissimo, seduto a guardare gli animali, con la luce perfetta e pensi che tutto questo ha un senso».

Come si vede tra dieci anni?
Vorrei avere più tempo e maggiori mezzi da dedicare all’azienda agricola. Un bel gregge. Magari una struttura aperta al pubblico, creare un laboratorio del latte. Abbiamo in progetto un caseificio per far conoscere i nostri formaggi di latte di pecora e capra. Una produzione piccola, attenta solo alla qualità. E poi vorrei imparare a tenere tutto in equilibrio, questa è la mia ambizione. Non è facile. Ma la vita di scorta non l’hanno ancora inventata e allora bisogna seguire quello che ci appassiona, adesso».

Che cosa ti manca?
«(Pausa lunga, ndr) La montagna. Vorrei portare gli animali a pascolare in alto. Ma arriverà. Sono sicuro, arriverà anche questo».