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«Basta ansia, il virus non fa più paura»

Il professor Bassetti: «Il quadro clinico è mutato, guardiamo avanti con ottimismo. La scuola? All’estero hanno riaperto, capiamo come. Serve più conoscenza»

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In poco tempo, con parole equilibrate ma chiare, il professor Matteo Bassetti ha conquistato uno spazio significativo nel dibattito televisivo intorno al famigerato covid-19. Il primario del reparto di Malattie Infettive del San Martino di Genova ha portato un contributo fondamentale per far passare il concetto (fino a quel momento tabù) di un virus cambiato, non più letale come nei primi giorni e nella fase più acuta.

Professore, come ci è riuscito?
«Il problema è stato che per tre mesi hanno parlato un po’ tutti: filosofi, ingegneri, giornalisti, soubrette… E hanno parlato di un argomento difficile e complicato. Senza sapere bene che cosa dire. Tutto questo mentre nelle ultime tre, quattro settimane la tipologia dei pazienti iniziava a presentare aspetti nuovi, stava cambiando la prestazione clinica. I sintomi non erano più quelli devastanti di prima (per esempio la fame d’aria), si trattava di soggetti che stavano meglio rispetto a prima».

Possiamo considerarci fuori pericolo?
«Rispetto al recente passato, il virus non è morto ma è certamente mutato. Perché è successo? Per sapere questo abbiamo bisogno di dimostrazioni in laboratorio di valore scientifico. In un laboratorio di Brescia è stata isolata una variante di covid-19 estremamente meno potente. Il lockdown ha certamente contribuito a ridurre gli effetti del contagio. Insomma, sul piano clinico che l’intensità sia minore è un dato di fatto. Così come il dato degli attuali 300 ammalati al giorno rispetto ai 4 mila di prima».

Cosa dobbiamo aspettarci una seconda ondata?
«La mortalità si è ridotta e la circolazione del virus è diminuita. All’inizio erano positivi i risultati di 9 tamponi su 10, oggi siamo a 1 su 100. E i tamponi sono più mirati, li facciamo su pazienti delle rsa, su contatti, sul personale sanitario. Guardiamo al futuro con ottimismo».

Perché, secondo lei, la comunicazione dell’emergenza sanitaria è stata gestita così male?
«Prima di tutto è stata data la parola a tante persone, tutti siamo stati definiti “virologi”. E tutti hanno fornito una visione del problema, qualcuno lo ha fatto meglio e qualcuno lo ha fatto peggio. Ma l’infezione ha avuto effetti inediti, non era semplice prevedere e capire. Ho letto un articolo in cui si scriveva di “medici mediatici”… ma chi dovrebbe parlare del virus se non gli infettivologi? Invece hanno avuto parola tutte le categorie. Molti di noi hanno cercato di affrontare con concetti semplici una materia molto difficile, facendo intanto esperienza sul campo. Qualcuno ha sbagliato, ma sempre in buona fede».

Eppure quando il suo collega Zangrillo ha espresso concetti fuori dalle posizioni ufficiali, è finito nell’occhio del ciclone.
«Ha fatto rumore perché è stato male interpretato. Dal suo punto di osservazione come rianimatore ha detto che il quadro del covid era cambiato. Non ne farei una colpa. In Italia oggi dare una buona notizia sembra quasi diventata una cosa da irresponsabili… come se dire che è stata trovata una cura per il tumore, potesse autorizzare la gente a fumare in massa…».

Il Covid, in definitiva, è una forma influenzale? È simile al virus del 2009 oppure è qualcosa di diverso?
«Nella prima fase aveva presentato caratteristiche nuove rispetto ai casi precedenti, dettagli più gravi come la polmonite interstiziale. La sua carica virale era dirompente e interessava anche altri organi, dall’encefalo al cuore al fegato… Oggi non è così».

Come dobbiamo comportarci da qui in avanti, nella vita di tutti i giorni?
«Non possiamo e non dobbiamo chiuderci in casa. Dobbiamo vivere la nostra vita con misure precauzionali semplici come mantenere distanze, evitare gli abbracci… E fare vaccini anti-influenzali. Ma senza ansia, abbiamo imparato dagli errori».

Quello che lei dice non risolve però un problema serio: la riapertura delle scuole.
«Non c’è dubbio che la scuola non sia fatta solo di nozioni ma abbia una componente di socialità altrettanto importante. Il virus non deve privare i bambini e i ragazzi di cose a cui hanno già rinunciato in questo periodo, fin troppo.

Bisogna ripartire in massima sicurezza sapendo che alcune cose andranno cambiate. Far stare i bimbi a scuola per tante ore al giorno per tanti anni è ormai anacronistico. È vero che l’Italia si è mossa per prima e ha dato l’esempio, ma visto che in altre nazioni la scuola è già ripartita, vediamo di confrontarci, cerchiamo di capire. E troviamo una nostra strada».

Le cure a base di idrossiclorichina oppure al plasma, sono strade da seguire?
«In Inghilterra uno studio ha fatto fare un passo indietro ai ricercatori per quanto riguarda l’idrossiclorichina. Hanno detto che non va. E per il plasma parliamo ancora di prospettive. Abbiamo bisogno di più conoscenza, il punto è questo».