Gli eroi non indossano maschere e costumi, non volano tra i grattacieli con i mantelli come ali. Gli eroi non impugnano spade lucenti, non attraversano trincee e non sfidano draghi. Non popolano racconti epici, film o fumetti d’azione. Non sono forti, sfrontati, invincibili.
Gli eroi sono tra noi, piccoli grandi esempi di generosità e di coraggio nei giorni bui, e vanno persino oltre la nuova, pur giusta, iconografia che li dipinge in camice bianco. Ci sono, ma non sono i soli. Altri indossano la divisa da cassiera, la tuta da operaio o il caschetto da “rider”. C’è chi guida il taxi, non solo l’ambulanza, e chi fa le pulizie in ospedale, non solo chi assiste i malati in corsia.
Maurizio ha quarant’anni e lavora in una fabbrica che produce bombole d’ossigeno: ne servivano tante, durante il “lockdown”, chi lottava contro il coronavirus ne aveva bisogno, così lui e suoi colleghi hanno scelto di non fermarsi, senza badare a orari né turni, e hanno rifornito ambulanze e postazioni mobili di terapia intensiva, cinquemila pezzi in un mese, prodotti vincendo la paura per dare speranza a chi soffriva.
Rosa Maria, cassiera in un supermercato, nei giorni dell’emergenza scrisse una lettera commovente agli operatori del 118, ai quali volle regalare anche tre tessere prepagate per acquistare cibo: «Io sento il bip dei prodotti che passano, voi il bip dei nostri cuori. Siete angeli, ci soccorrete per primi. Quando passate la carta, quello sarà il mio abbraccio a tutti voi».
Mahmoud in Libano era infermiere, in Italia s’è adattato a fare il “rider”: porta cibo in bicicletta e non ha smesso quando l’Italia era chiusa in casa. In quegli stessi giorni bussò alla Croce rossa di Torino e consegnò mille mascherine acquistate di tasca sua con sacrificio: «Volevo fare qualcosa per l’Italia, il Paese che mi ha accolto otto anni fa».
Concetta fa le pulizie in ospedale. Anche grazie al suo lavoro, apparentemente oscuro e invece prezioso, tutto è andato avanti, è stato possibile garantire le cure e superare le emergenze. Alessandro fa il tassista: durante il “lockdown”, sapendo che una bambina di tre anni aveva bisogno di una visita di controllo a Roma, non ha esitato a portarla in taxi, con papà e mamma, dalla loro Calabria a Roma: 1.300 chilometri senza accettare un centesimo, benché quei genitori insistessero per pagarlo.
Eppoi Riccardo che ha cucinato gratis per i medici di un ospedale milanese, Irene che ha cucito e regalato mascherine inventando quelle trasparenti per una comunità di sordi affinché potessero leggere il labiale, Alessandro e Francesca che hanno scelto di vivere nella casa di riposo che dirigevano per proteggere gli ospiti, Cristina dopo la scadenza del contratto d’insegnante ha continuato a fare lezioni online ai suoi alunni, Mata che è giocatore di rugby e ha scelto di fare il volontario sulle ambulanze, Monica medico in pensione è voluta tornare in corsia, Francesco che quando il suo ristorante era chiuso ha continuato a sfornare pizze per i poveri, Daniele che portava il cibo agli anziani soli.
Ed Elena, l’infermiera della foto simbolo dell’emergenza Covid, crollata dopo turni estenuanti, la testa sulla tastiera d’un computer (foto sopra). Piccole storie di un’Italia dal cuore grande, scelte tra quelle dei 57 eroi nominati cavalieri da Mattarella: 57 che sono in realtà migliaia, perché ognuno rappresenta una categoria. Quelli che non si sono fermati: l’orgoglio di un Paese che, piano, rinasce.