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«La storia si ripete e impariamo poco»

Al giudizio da studioso Sergio Soave aggiunge quello da presidente della Fondazione Crs

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In un momento in cui virologi e simili spesso si contraddicono l’un l’altro (e qualche volta vanno contro quanto detto da loro stessi solo qualche settimana prima) per avere qualche riferimento più sal­do può essere saggio guardare al passato e affidarsi a chi lo studia.
Per questo motivo la chiacchierata con il saviglianese Sergio Soa­ve, personalità dalle competenze quanto mai estese e diversificate (come si può leggere nel box a destra) prende le mosse dalla sua formazione di storico.

Dottor Soave, qualcuno paragona l’attuale emergenza sanitaria alla “spagnola” di inizio secolo scorso. Ha sen­so?
«La peculiarità della “spagnola” è che veniva dopo una guerra e il tema della vita e della morte aveva un significato molto diverso. Per mio divertimento, sono andato a leggermi Tucidide sulla peste di Atene del 430 avanti Cristo e mi sembrava di leggere un testo di oggi: non si sapeva cosa fosse, i medici morivano più dei normali cittadini e la soluzione adottata per superarla è stata lo stare distanti. Non avevano le mascherine, ma per il resto non è molto diverso da oggi. Lo stesso si può dire per le epidemie del ’300, del ’600, raccontata da Manzoni, della “spagnola” e in qualche misura anche per l’“asiatica”, di fine anni ‘50 del secolo scorso che ha impiegato 3-4 anni a sparire, facendo due milioni di morti. Finché il nemico è misterioso, aggressivo e pericoloso è difficile trovare soluzioni».

Essere uno storico aiuta a relativizzare, insomma…
«Aiuta a farlo in un ambito nel quale, obiettivamente, noi pensavamo al passato come a qualcosa di superato. La velocità dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica ci hanno indotto a pensare che fossero problemi superati, invece basta un piccolo e invisibile nemico per far accadere quello che è successo. Oggi, però, rispetto al passato abbiamo più certezze su ciò che bisogna fare».

Di contro abbiamo i social, che dicono tutto e il suo contrario.
«Adesso una notizia in un minuto fa il giro del mondo. Una volta solo per sapere che c’era una pandemia in corso servivano mesi e nascevano leggende anche sugli untori, cosa che, a dire il vero, in parte si è ripetuta anche adesso».

Alla luce della sua lunga e qualificata esperienza politica, come avrebbe gestito questa emergenza?
«Difficile dirlo. Ci si mette sotto e si affrontano le criticità in base ai dati a disposizione. Non era facile, anche perché la situazione era inedita. Bisognava essere bravi ma anche fortunati a centrare i virologi giusti, i tecnici giusti, gli scienziati giusti. È andata bene a Zaia in Veneto, male a Fontana in Lombardia, malino a Cirio in Piemonte, anche se mi pare che adesso stia recuperando con alcune nomine azzeccate. Non voglio dare un giudizio di valore sulla classe dirigente, da “laudator temporis acti (lodatore del tempo passato”, ndr). Non si tratta soltanto di caratura politica dei singoli, alcuni dei quali, in effetti, recitano male sul­la scena, ma del fatto che si hanno op­poste visioni ed è difficile trovare una sintesi».

Com’è affrontare la crisi da presidente di u­na fondazione di origine bancaria?
«I dividendi della banca e degli investimenti co­stituiscono il fondo delle nostre erogazioni, che tengono conto delle esigenze del territorio riguardo welfare, cultura, manifestazioni e scuola. Ora hanno pensato bene di congelarci i dividendi… Per fortuna noi avevamo fondi di scorta, quindi continuiamo a erogare come gli anni scorsi. Il difficile verrà nel 2021, se dovesse permanere il congelamento dei dividendi, an­che perché la Fondazione Cassa di risparmio di Savigliano detiene la proprietà del 70 per cento della banca corrispondente, quindi si tratta di un bell’importo che ci viene a mancare…».

L’emergenza sanitaria ha cambiato le priorità anche nella di­stribuzione dei contributi. Esiste il rischio di sottovalutare qualche criticità “non Covid”?
«Stanziamo erogazioni a favore di associazioni che si occupano di Alzhaimer e di altre malattie invalidanti che continuiamo ad aiutare anche adesso. Per quanto riguarda le manifestazioni, si tornerà a sostenerle quando la situazione permetterà di riorganizzarle».

Ci consoliamo illudendoci che saremo migliori?
«Alcune lezioni questa crisi ce le ha date: il valore della solidarietà, l’abnegazione del personale sanitario che ha messo a rischio la propria salute senza mai tirarsi indietro, per esempio. Detto questo, la coazione a ripetere il passato è forte. La storia non è un percorso lineare, ma pur nella tendenza alla reiterazione qualche miglioramento si registra. Alla base, però, c’è sempre la stessa domanda: sono più grandi i limiti della natura umana o della Storia?».