Bruno Pizzul è l’amico, il papà, lo zio, il nonno che ciascuno vorrebbe. Per parlare ore e ore. Di calcio, ovviamente, la sua grande passione, che ha trasformato in un lavoro, prima da buon calciatore professionista, poi da giornalista, che lo ha portato a diventare la voce della Nazionale di calcio dal 1986 al 2002. Di pallone, ma anche di vini, l’altro suo grande interesse, delle sue esperienze lavorative che lo hanno portato a conoscere persone e storie incredibili, in ogni angolo del pianeta, ma anche delle sue “fughe” in Piemonte, una regione a cui è legato.

Pizzul, tutti la conoscono come telecronista, ma pochi sanno che è stato anche un calciatore professionista…
«È così. Dopo aver trascorso l’infanzia a rincorrere un pallone “spelacchiato”, trovato per miracolo dal parroco del paese, ho coltivato la passione, iniziando a giocare per la squadra del mio paese, Cormòns, nel Friuli, per poi passare alla Pro Gorizia, fino a diventare professionista con il Catania in Serie B. Ma nella mia vita ho fatto tante altre cose…».

Quali?
«Sono stato insegnante e, addirittura, ufficiale negli Alpini!».

Poi il giornalismo.
«Ma non fu amore a prima vi­sta… Quando ero calciatore, i cronisti dell’epoca non erano particolarmente teneri con me, forse a ragione, perché il mio talento era inversamente proporzionale alla passione; fatto sta che non nutrivo una particolare simpatia per i giornalisti sportivi. Il destino ha voluto che, dopo aver vinto il concorso Rai, lo diventassi anch’io».

Ricorda la prima telecronaca?
«Certo, anche perché ha ri­schia­to di essere l’ultima. Do­vevo commentare Juventus-Bolo­gna, spareggio di Coppa Italia. Si disputava in campo neutro, a Como, dove mi sarei dovuto recare con un’auto messa a disposizione dalla Rai. Prima di salire a bordo incontrai il giornalista Beppe Viola, il quale si offrì di accompagnarmi allo stadio. Pranzammo insieme e fa­cemmo una partita a carte.

Poi ci mettemmo in viaggio ma restammo imbottigliati in coda. Raggiunsi la mia postazione quando ormai la partita era iniziata da 15 minuti. Per fortuna, le immagini sarebbero andate in onda successivamente, così ebbi modo di tornare in ufficio a Milano e sistemare quel “bu­co”. La Rai aprì comunque un’indagine, dalla quale mi salvai soltanto grazie al fatto che mi ero imbattuto in quel “mat­to” di Viola».

Dopo essersi congedato da telecronista ufficiale dell’Italia, cosa ha fatto?
«Per un certo periodo ho fatto, tra le altre cose, le telecronache in friulano delle partite dell’U­dinese. Si trattava di un progetto della Rai rivolto ai miei conterranei sparsi nel mondo. Mi sono divertito».

Certo è che per quel tipo di telecronache un buon bicchiere di vino sarebbe servito…
«Con la dovuta moderazione, un bicchiere di vino è salutare. Quando facevo telecronache di partite che si disputavano in Friuli o Veneto qualche assaggio dalle tribune arrivava sempre».

Qual è il suo vino preferito?
«Essendo cresciuto nel Collio, zona friulana a forte vocazione enologica, mi ritengo un “bianchista”, prediligendo vini come il Tocai. Apprezzo molto anche i vini piemontesi. Il Barolo e gli altri vini che derivano dalle uve di Nebbiolo sono pregiatissimi, ma il mio preferito è senza dubbio il Dolcetto d’Alba».

Ha citato il Piemonte, a cui lei è molto legato. Nel 1997 è stato nominato cittadino onorario di Diano d’Alba, mentre nel 2003, a Cortemilia, è stato incoronato “am­basciatore della nocciola nel mondo” dalla Confraternita della tonda gentile di Langa.
«Ho un legame di affetto profondo con le vostre colline, che amo perché mi ricordano mol­to quelle di casa mia. Sono davvero suggestive. In più, nella vostra regione ho sempre in­contrato grande ospitalità, an­che in occasione della telecronaca della partita Albese-U­di­nese di Serie C nel 1976. Del resto, come i friulani, siete persone che amano il vino e, quindi, sta­re in compagnia».

È per questo motivo che fa il tifo per il Torino?
«Da piccolo ero tifosissimo: scelsi i granata perché i bambini più grandi non condividevano mai il pallone con noi ed erano della Ju­ventus. Negli anni ho do­vuto ri­di­men­sionare la mia passione, ma continuo a essere affezionato al Toro».

Cosa c’è nel futuro di Pizzul?
«Un’esistenza serena e tranquilla insieme a mia moglie, pensando ai nostri nipotini che costituiscono la nostra felicità».