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Mondovì e Costa Rica La magia di Italia ’90

Trent’anni fa venne ospitata la delegazione di una delle squadre rivelazione di quei Mondiali

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Ancora oggi se a Mon­dovì pronunciate la parola Co­sta Rica, un monregalese di almeno 35 anni vi risponderà con un sorriso, se non addirittura con lo sguardo commosso. Perché nella città della funicolare citare il nome della nazione dell’America centrale che vanta non più di cinque milioni di abitanti significa far riaffiorare ricordi di tre decenni pri­ma, ma ancora vivi nella mente di chi instaurò nell’estate del 1990 un’amicizia con un popolo lontano e appassionato.

L’8 giugno di trent’anni fa, infatti, in uno scenario di fibrillazione generale, l’Italia ospitava la tredicesima edizione dei Mondiali di calcio. Si trattava di un’occasione unica per conoscere da vicino i mi­gliori calciatori del pianeta, ma anche e soprattutto per accrescere la visibilità del territorio italiano nel mondo, grazie alle immagini di quelle “Notti magiche”, come cantavano Edoardo Bennato e Gianna Nannini, che giorno dopo giorno sa­rebbero state trasmesse dalle televisioni in­ternazionali.

Ecco perché, quando si scoprì che la provincia di Cuneo avrebbe ospitato il Costa Rica, nazionale cenerentola di quella manifestazione, alla prima partecipazione a un Mondiale, mol­ti storsero il naso. Si temeva che, siccome in quella squadra non c’erano campioni acclamati, i giornali di tutto il mondo avrebbero dirottato la loro attenzione altrove, impedendo di fatto alla Granda di farsi conoscere come avrebbe sperato. Nessuno sapeva che, in realtà, quel Costa Rica avrebbe scritto una pagina importante della storia del calcio internazionale.

Come quartier generale della nazionale centroamericana ven­ne scelta Mondovì, strategica per la sua vicinanza a Torino e a Genova, sedi delle partite del gruppo B, composto da Costa Rica, Scozia, Svezia e, soprattutto, dal grande Brasile.

«Quando arrivarono capimmo subito che il Costa Rica aveva vi­sto in quell’evento unico l’occasione per scoprire le nostre terre» ricorda Anna Ferrero, oggi titolare de “La Borsarella” a Mondovì e a quel tempo “padrona di casa” del Park Hotel, che per due mesi ospitò i giocatori della nazionale. «Il loro tecnico, Bora Milutinovic, li aveva fatti arrivare con largo anticipo in Italia: voleva far vivere loro un’esperienza unica, non solo in campo, ma anche fuori».

E quell’esperienza divenne davvero unica. I costaricensi non erano professionisti, ma semplici ragazzi che stavano vivendo un sogno, a cui contribuì la grande ospitalità monregalese. «Mi vengono ancora i brividi» continua Anna, «a pensare alla notte successiva alla prima partita del Co­sta Rica. Giocò a Genova e, contro ogni pronostico, vinse 1-0 contro la Scozia. Quando il pullman ritornò in hotel, ad accoglierlo c’erano duemila persone con striscioni, bandiere e canti di gioia. Con un semplice passaparola i monregalesi avevano risposto alla grande ed erano lì a celebrare i loro fratelli costaricensi, che non credevano ai loro occhi».

«Erano ragazzi semplici, ma eccezionali» ricordano Emilio Rosso e la figlia Monica, ancora oggi titolari de “La Ruota”, inaugurato proprio nel maggio 1990 e che ospitò i membri della Federazione e della delegazione costaricense in quei mesi. «Molti di loro amavano girare ovunque scalzi, sia fuori che dentro alla struttura, ma erano dolcissimi e sapevano fare gruppo: il nostro sostegno e la lo­ro coesione li condusse a risultati inaspettati».

Il successo contro la Scozia fu, infatti, solo il primo atto di un’impresa unica: il Costa Rica perse di misura contro il Brasile in una partita in cui giocò con le maglie bianconere gentilmente concesse dalla Juventus, perché la Fede­razione era sprovvista di una terza divisa, e poi vinse l’ultima e decisiva partita contro la Svezia, superando così il girone. La piccola nazionale si era trasformata nella grande sorpresa di quel Mondiale.

«La nostra sala congressi si riempì di giornalisti», ricorda ancora Anna Ferrero. L’atten­zione me­diatica era notevolmente cresciuta, eppure quei ragazzi era come se fossero in gita. Avevano scoperto il “gilato”, come lo chiamavano loro, e ne ordinavano in quantità industriale. E poi ricordo la loro grande fede: pregavano sempre e in ogni luogo, tanto che adibimmo una sala per la celebrazione delle messe pre-partita».

Ad ingigantire la fama del Costa Rica e di Mondovì fu la presenza, al fianco della nazionale, di Oscar Arias Sanchez, premio Nobel per la pace, che da pochi giorni aveva lasciato la carica di presidente della Repubblica. «Eravamo onorati di averlo da noi e chiaramente la sua presenza attirò l’attenzione di molti. La sua celebrità era planetaria, ma la sua umiltà era u­nica: quando qualche mese do­po andammo in Costa Rica, ci accolse in un mo­do sublime con la sua famiglia», conclude Emilio Rosso.

La favola del Costa Rica terminò solo il 23 giugno 1990, quando la Cecoslovacchia le rifilò un so­noro 4-1, eliminandola dalla manifestazione agli ottavi di finale. Ma ormai i costaricensi avevano già vinto: la loro fama era già cresciuta a dismisura e con questa anche la centralità di Mondovì nella narrazione giornalistica di quella manifestazione.