Quest’anno ho fatto la maturità. Non è stata una maturità come tutte le altre: niente prove scritte e niente commissari esterni. Mi sono sentita dire da molte persone che sono stata fortunata, che un esame così facile non lo ha mai fatto nessuno. Mi sono arrabbiata, e non solo perché per questo esame semplificato abbiamo dovuto studiare come tutti gli altri prima di noi, ma soprattutto perché insieme alle prove scritte abbiamo perso anche la cena dei cento giorni dalla maturità, gli ultimi mesi da compagni di classe, l’ultima campanella, una vera notte prima degli esami.
Poi però il 19 giugno sono andata a scuola, sotto il peso di uno zaino che per mesi era rimasto in un angolo della mia camera, e per qualche minuto sono rimasta in corridoio ad aspettare il mio turno, agitata, emozionata e già anche un po’ malinconica. È stato quando mi hanno detto di entrare che ho realizzato di essere davvero fortunata: le persone che avevo davanti, anche se lontane e con il viso parzialmente coperto dalle mascherine, erano le stesse che negli anni precedenti mi avevano vista crescere, ed erano lì schierate per dedicare quell’oretta a me soltanto.
Non sapremo mai quello che hanno provato i maturandi degli anni passati al momento di leggere le tracce della prima prova, è vero; ma allo stesso modo nessuno saprà quello che abbiamo sentito noi, in un momento così importante per la nostra crescita personale, nel vedere i nostri professori in carne ed ossa dopo tutti quei mesi passati davanti ad un PC, con uno schermo a separarci.
Laura Paglietta
ex 5^B
Liceo Bodoni – Saluzzo