Le storie dei giornali sono miniere di aneddoti, album romantici, gallerie di volti perduti. Stupisce come le fabbriche della cronaca più asciutta s’impastino, nei racconti, di poesia. È così anche per noi vecchi ragazzi che scaviamo nel tempo sfogliando pagine antiche: sorridiamo delle nostre fototessera in bianconero, senza strie tra i capelli o rughe sul viso, e rileggiamo articoli che avevamo dimenticato, considerando l’opposto cammino di un magazine che è, che è stato, anche nostro: lui, come il Benjamin Button interpretato sul grande schermo da Brad Pitt, ringiovanisce con il passare degli anni, assorbendo tecnologie e cavalcando gusti, spesso precedendo innovazioni e tendenze.
Quando il progetto di Carlo Borsalino, tra il 1985 e il 1986, vide la luce, il Cellulare era un automezzo e la Rete uno strumento da pescatori, Francesco Cossiga era presidente della Repubblica, al cinema spopolava Top Gun, Eros Ramazzotti s’affacciava al successo vincendo il Festival di Sanremo, c’erano le musicassette e i gettoni telefonici, i “walkman” che per la prima volta permettevano d’ascoltare musica in solitudine per strada, il Commodore 64 antenato d’ogni consolle, Postalmarket che era il nonno di Amazon: ordinavi e aspettavi il pacco a casa, però il catalogo era di carta. Oggi c’è un altro mondo ma IDEA, il nostro giornale, ha fermato il tempo, legato alla tradizione dal fondatore e portato nel futuro dai suoi figli, disegnato e scritto da una redazione giovane, coetanea o quasi dei primi numeri apparsi e diventati in fretta riferimento del Cuneese e dei cuneesi, di chi è rimasto aggrappato alle radici e di chi ha esportato laboriosità e inventiva.
Noi, vecchi ragazzi di queste parti, o da queste parti approdati per rincorrere un sogno, innamorati del giornalismo e dei suoi miti, vogliosi di raccontare la vita picchiettando su una macchina da scrivere (i pc non erano ancora diffusi), non andavamo in via Veneto come faceva il grande Eugenio Scalfari, e nemmeno nelle bettole fumose della leggenda giornalistica, dove si chiudevano a tavola serate lunghissime intrise di piombo e d’inchiostro. Noi, semplicemente, orgogliosamente, ci riunivamo attorno a un’Idea. Che è il nome di una testata ed è metafora, che è stata palestra ed è ricordo, passerella ed esercizio, sorriso e testimonianza. Abbiamo fatto tutti un po’ di strada, qualcuno distinguendosi, nei giornali dove eravamo entrati praticanti o in altri che ci hanno sedotti dopo, abbiamo scalato gerarchie e cambiato città, abbiamo visto le nostre firme affermarsi e ci siamo affacciati in tv, però siamo rimasti legati a quegli anni, forse né formidabili né ruggenti, però importanti per la nostra formazione e spensierati per la nostra gioventù.
Nessuno s’è perso davvero e questa ricorrenza rinsalda legami e rinverdisce memorie, ci restituisce quella genuinità che è stata sempre l’anima, il segreto del magazine: “marketing” e management rigorosi, ma tepore di famiglia, passi veloci nella tecnologia e professionalità elevatissima però cura artigianale, amorevole, del lavoro redazionale, l’occhio attento rivolto alle grandi realtà internazionali e il cuore dentro una realtà locale rigogliosissima di risorse, di personalità, di iniziative.
Personalmente, ho realizzato il sogno. Ho attraversato tre grandi giornali, ho inviato articoli da Paesi lontani, ho vissuto una lunga esperienza romana prima di tornare nel Piemonte che sento ormai casa mia, però IDEA è rimasto un punto fermo, con una rubrica che mi piace immaginare appuntamento di una comunità preziosissima, perché un giornale non è mai di chi lo edita e realizza, ma di chi lo legge, lo riscopre ogni volta, lo apprezza, lo critica. Un piccolo ritaglio che dilata il tempo, che dà continuità e annoda generazioni: ieri giovanotto che guardava l’orizzonte e sperava di trasformare una passione in mestiere, oggi uomo che, senza nostalgie ma con gioia, si specchia in una redazione giovane, più brava e vivace di noi tanti anni fa. Anche loro, ragazzi di oggi, attorno a IDEA e un’idea.
Attorno a un’IDEA sono nati sogni e tanti progetti
Barillà: «Ho attraversato tre grandi giornali e viaggiato nel mondo, ma questo è sempre rimasto il mio punto fermo»