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L’azzurro dopo il Covid

Medici e infermieri di un ospedale di Barcellona portano un paziente guarito dal coronavirus, dopo 50 giorni di terapia intensiva, a vedere il mare che tanto gli mancava: un’immagine che racconta il cuore dei sanitari e il ritorno faticoso alla vita

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Andrà tutto bene, scrivevano i nostri bambini nei giorni del dolore, della paura, del “lockdown”: cartoncini o lenzuoli con l’arcobaleno, l’azzurro e il bianco sfondo dominante. L’azzurro, spiega chi studia i colori, è calma, sensibilità, riflessione. Il bianco è forza benevola e luce. I bambini non ci pensavano, però azzurro e bianco erano anche i colori indossati da chi lottava affinché tutto andasse bene: camici da corsia o sala operatoria, uniti al verde che è speranza.
Bianco e azzurro sono i colori degli ospedali. Lenzuola sudate, mobili laccati, pavimenti lucidi odorosi di disinfettante, figure in giro di notte tra i letti che controllano monitor, cambiano flebo, spostano fili: angeli che vegliano e curano, che abbiamo imparato a scoprire nel momento più duro e che la memoria corta, vizio inestirpabile, rischia adesso di restituire al sacrificio nascosto, all’oblio ingiusto di un lavoro che è missione ovunque, non solo nei villaggi sperduti o nelle favelas di paesi lontani. Non abbiamo apprezzato solo la professionalità e la vocazione, ma anche il cuore, l’umanità, la dolcezza di chi non s’è limitato a scrivere diagnosi e somministrare farmaci, ma ha fatto da confidente, è diventato riferimento. Medici e infermieri hanno raccolto volontà e confessioni, hanno portato baci e abbracci virtuali fuori a parenti in pena, hanno compreso sfoghi e condiviso paure, tenuto mani senza che i guanti rubassero calore e regalato sorrisi bellissimi che le mascherine non hanno potuto celare.
Bianco e azzurro è anche il colore del mare. L’ultimo esempio dell’amore per il lavoro e oltre il lavoro, la storia semplice e delicata che arriva da Bar­cellona e che eleggiamo testimonianza del ritorno, seppur ancora faticoso, alla normalità e del cuore grande di una categoria professionale. Della sua gran parte, almeno, ché ogni cosa bella ha eccezioni e qualcuno s’è defilato o s’è limitato all’ordinario. È successo che per cinquanta giorni lunghissimi, Isidre, 61 anni, ammalato di coronavirus, è stato ricoverato nella terapia intensiva dell’Ospedale del Mar di Barcellona: il mare era davvero vicino, ma lui non poteva vederlo, lo sognava soltanto e immaginava di continuo perché nulla gli mancava quanto la distesa azzurra dell’acqua e del cielo. Lo aveva raccontato al personale sanitario che s’avvicendava attorno al suo letto, medici e infermieri così vicini alla sua sofferenza da trasformarsi in amici, così colpiti che, appena l’hanno visto star meglio, appena il tampone ha dato esito negativo, hanno deciso di fargli un regalo: con ogni precauzione, con ogni protezione, hanno lasciato scivolare il letto lungo le vie cittadine fino a raggiungere la più vicina banchina e permettere a Isidre di abbracciare la spiaggia e le onde con sguardo commosso. Accanto, oltre alla moglie, i suoi dottori e i suoi infermieri, compagni di un segmento di vita fatto di sofferenza, timore, fiducia. Il gesto rientra in un programma di recupero più ampio, comprensivo anche di concerti in terapia intensiva, che punta a rendere più umana la ripresa dei pazienti, e che diventa nuovo simbolo della sensibilità dei sanitari e del ritorno alla normalità, la luce in fondo al tunnel. Azzurra la sensibilità, bianca la luce, azzurrissimo e bianco di spuma il mare di Barcellona.